«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


lunedì 29 agosto 2016

Note in margine a "La scuola cattolica"































29.8
9 LUGLIO - 29 AGOSTO

Portata a termine in una cinquantina di giorni (ma con molte pause) la lettura de La scuola cattolica, l'impressione generale è quella di un libro ambizioso e sofferto che forse merita di essere letto e assorbito dalla coscienza nazionale collettiva, nonostante certi difetti evidenti e le provocazioni a tratti intollerabili di forma e contenuto che esso contiene. Superato lo scoglio terrificante della parte nona, occupata dal (per me almeno) noiosissimo zibaldone di pensieri del professor Cosmo (anche perché è un distillato di riflessioni già incontrate nelle oltre mille pagine precedenti), la decima e ultima parte da sola giustifica il premio Strega, perché contiene il meglio dell'Albinati narratore, che è uno scrittore di prim'ordine.
Esempio di difetto narrativo.
In VI.XIV viene introdotto un personaggio femminile reale, una minorenne coinvolta a sua insaputa in un omicidio (doveva fungere da esca per la vittima, uno stupratore e corriere della droga da eliminare, chiamato nel libro Cassio Majuri). Dice la voce narrante tra parentesi e in corsivo: «il nome della ragazza è secretato nel verbale forse perché all’epoca era minorenne, la chiameremo convenzionalmente Perdìta, con l’accento sulla i, come il personaggio di Shakespeare». Oltre 400 pagine dopo, però, allorché nella decima parte l'episodio viene rivisitato per rivelare l'identità della ragazza (e si tratta di una rivelazione dolorosissima per il narratore, che qui raggiunge forse il suo livello più alto di bravura), Albinati sembra essersi dimenticato della parentesi precedente e sul nome della ragazza dice, mi pare, un'altra cosa: «La ragazza si chiamava, a quanto pare, Perdìta, che è un nome strano ma sembrava fatto apposta per lei, cioè, per una ragazza perduta. Aveva quindici anni» (X.XI). Non è lo stesso, giusto?
Esempio di provocazione intellettuale.
Albinati dice spesso di non avere fede (per esempio in I.II e all'inizio di X.XVII, l'ultimo capitolo), ma sembra considerare crocianamente imprescindibile l'educazione cattolica (cfr. il pensiero 303 di Cosmo). E questo va bene. Va pure bene che lui racconti la sua attrazione morbosa per le funzioni religiose (e il romanzo finisce con la partecipazione alla messa di Natale del 2015 al San Leone Magno). Vanno meno bene due cose, però. Da un lato egli fa più volte riferimento alla pessima idea che nutre nei confronti dei filosofi antichi fino a Platone, a causa soprattutto delle lezioni nozionistiche del suo professore al SLM, fratel Gildo; e così vediamo trattati come "pazzi maniaci" (cfr. I.II) Talete, Eraclito, Parmenide, Zenone, Democrito, Pitagora e lo stesso Platone (Albinati detesta in modo particolare il mito della caverna, citato più volte con disgusto per la sua implausibilità). Dall'altro, in X.XV, egli riporta senza commento, e quindi implicitamente sottoponendolo all'ammirazione del lettore, un passaggio ispirato della predica natalizia del vecchio don Salari (vedi foto), che contiene un'insopportabile castroneria storico-filosofica, la quale non smette certo di essere tale anche se la si spaccia per dato di fede inserito nel contesto di una messa cattolica. La merda di toro rimane sempre merda di toro, anche se viene depositata sopra un altare e ribattezzata come nutella per credenti.




















28.8
ALBINATI, RISPETTIAMO IL VECCHIO SCHOPENHAUER!
Il pensiero n. 295 del quaderno nero di Albinati-Cosmo, ne La scuola cattolica, è un esempio perfetto di citazione ad cazzum, e assai probabilmente per sentito dire, di un grande filosofo. Intendiamoci, la teoria schopenhaueriana dell'omosessualità e del suo ruolo nella vita della specie umana è, per dirla con il famoso ragioniere, una cagata pazzesca, però merita di essere riportata meglio. La cosa interessante, intanto, è che Schopenhauer considera l'omosessualità un vero e proprio "adattamento", come diremmo oggi: la Natura, per il bene della specie, ha escogitato questo istinto deviato nei più giovani e nei più vecchi scegliendo il male minore, visto che questi, come aveva stabilito Aristotele (Politica, VII, 16, 1335a-b), per natura generano figli "difettosi" nel corpo e nello spirito. Schopenhauer, dunque, dice PERCHÉ gli anziani virerebbero verso l'omosessualità, e lo fa basandosi nientemeno che sull'autorità di Aristotele, il quale aveva fissato le fasce d'età (diverse per gli uomini e le donne) giuste per fare figli sani.

Ma la cosa davvero curiosa è che Schopenhauer ha proposto questa (fantasiosa) spiegazione "darwiniana" ante litteram dell'omosessualità nell'Appendice al famoso capitolo 44 dei Supplementi al Mondo (quello sulla "metafisica dell'amore sessuale"), aggiunta nella terza edizione, che uscì proprio nel 1859, cioè lo stesso anno de L'origine delle specie.



28.8

STRANEZZE NARRATIVE NE "LA SCUOLA CATTOLICA"

Giunto al pensiero n. 121 del quaderno nero del professor Cosmo (IX.II), il lettore normalmente memore ha un déjà-vu o, come forse sarebbe meglio dire nel caso specifico, un déjà-lu. Se sta leggendo La scuola cattolica sul cartaceo, però, egli non ha quasi alcuna speranza di togliersi il dubbio, a meno che non abbia la patologia di Funes el memorioso. Se invece sta leggendo sull'ebook, una semplice ricerca lo riporta a più di mille pagine prima (nella versione cartacea), ovvero al primo capoverso di I.IX. Qui al lettore viene rivelato quel che in fondo egli sa già, anche se ha sospeso l'incredulità: l'ultimo quaderno di Cosmo è solo una variante del vecchio espediente del manoscritto ritrovato e Albinati sta solo infliggendogli un proprio zibaldone di pensieri, da cui ha già abbondantemente attinto per rimpinzare il resto del libro. Come diceva Eco nel finale de L'isola del giorno prima e in quello di Baudolino, gli scrittori sono per natura dei bugiardi "senz'anima" e «non si può scrivere se non facendo palinsesto di un manoscritto ritrovato». E va bene.

Visto che la sola differenza tra i due brani è quella - meramente formale - che c'è tra un tipico appunto di diario e un tipico attacco da narratore intradiegetico, il lettore benevolo può pensare che Albinati gli stia strizzando l'occhio per rivelargli il trucco e giocare a carte scoperte (se non è benevolo, può pensare che Albinati abbia semplicemente dimenticato di aver plagiato se stesso, o se non altro di eliminare anche il pensiero 121 dalla sua ampia antologia finzionale di passi scelti dell'ultimo quaderno del suo ex professore di italiano). Ma il pensiero n. 126, poco più avanti, viene a scompaginare il quadro, perché Albinati vi insiste con la finzione del manoscritto ritrovato annotandolo in modo piuttosto lezioso e avventurandosi in una serie di considerazioni sulle fonti, perché riconosce che lui e Cosmo devono aver saccheggiato qualcun altro ciascuno per conto proprio. 

A questo punto il lettore è sconcertato, perché Albinati sembra procedere in modo piuttosto pasticciato e soprattutto immemore di ciò che è stato fatto appena una pagina prima.














27.8

BOOK & EBOOK
I famosi contenuti extra della versione digitale de La scuola cattolica, come al lettore dell'ebook viene spiegato subito, riguardano la nona e penultima parte, quasi interamente occupata, per una settantina di pagine nella versione cartacea, dal cosiddetto "ultimo quaderno di Cosmo". Albinati finge di ritrovare una pila di quaderni dalla copertina nera nella catapecchia dell'amato ex professore di italiano al San Leone Magno, tale Giovanni Vilfredo Cosmo, morto vecchio, povero e depresso all'epoca della stesura del libro. L'ultimo di tali quaderni, scritto evidentemente in limine mortis, è costituito da 414 pensieri numerati progressivamente, la cui lunghezza varia dal rigo scarso alla pagina intera e oltre. Albinati lo riporta in gran parte nell'edizione cartacea e promette nel testo (penultimo capoverso di IX.I) di renderlo noto per intero "in un luogo più opportuno". Tale "luogo", evidentemente, è la versione digitale del libro, che in appendice contiene appunto l'intero ultimo quaderno di Cosmo. 

Di cosa si tratta? Ad Albinati non basta stressare il lettore con le sue innumervoli digressioni da "moralista" del Sette-Ottocento che si avventura in sottili analisi di questioni psico-sociologiche relative soprattutto al potere, al sesso e alla violenza (che per lui sono ovviamente intrecciati in modo pressoché inestricabile), disseminate nel mare di pagine del libro; gli serve concentrarne il succo filosofico in una serie di pensieri tra il pascaliano e il leopardiano che non si fa scrupolo alcuno di infliggere sadicamente al già stremato lettore. L'effetto intenzionale, con il rischio di far bestemmiare ai lettori l'intero rosario degli abitanti del cielo cattolico, è quello di produrre un ultimo, snervante indugio riflessivo prima della più movimentata decima e ultima parte. 

Ancora una volta non si può non rimanere sconcertati e in qualche modo ammirati dal coraggio dimostrato da Albinati. Normalmente un editore butterebbe in faccia all'autore una zeppa filosoficamente pretenziosa ma al postutto abbastanza pallosa come la parte nona e sinceramente non capisco come Albinati sia riuscito a farla passare. Il "compromesso", per quanto riguarda la già elefantiaca edizione cartacea, è stato quello di tagliare 138 dei 414 "pensieri" di Cosmo-Albinati, che per i più curiosi vado qui a elencare nel dettaglio:

2,3,4,15,16,18,22,23,27,29,38,45,46,50,54,56,57,60,62,63,66,67,68,69,77,78,85,86,89,91,94,100,101,109,110,112,113,117,125,126,128,129,130,131,135,136,140,141,144,148,150,152,163,166,171,173,177,178,180,181,187,188,193,198,199,206,208,209,210,211,213,214,215,218,240,241,242,243,244,245,246,250,262,263,268,274,275,277,278,281,284,285,286,287,289,292,294,296,297,300,301,302,304,308,309,310,313,315,316,321,322,323,330,337,338,344,346,347,349,354,355,356,366,367,371,375,376,384,388,389,390,391,395,396,397,398,402,412.

24,8
ELOGIO, STAVOLTA
Nel quarto capitolo della parte settima (la più lunga delle dieci, composta da ben ventisei capitoli), Albinati chiarisce che il fatto attorno a cui ruota La scuola cattolica, cioè il massacro del Circeo, è solo un episodio marginale della più generale guerra di liberazione della donna, il femminismo essendo per lui "il più innovativo movimento politico" del Novecento (molto più del comunismo, del capitalismo e delle ideologie reazionarie, tutti lasciti delsecolo precedente). Ecco perché si sente costretto a infliggere un interminabile discorso saggistico socio-psicologico sul sesso e sul rapporto tra uomini e donne, avvertendo il lettore che la parte settima sarà noiosissima. E così è. Io non ho seguito il consiglio di saltarla e ora che sono arrivato alla parte ottava, che coincide grosso modo con la boa delle mille pagine, posso dire che aveva ragione lui: la parte ottava è finalmente occupata da grandi segmenti narrativi, che da soli forse valgono la fatica di raggiungerli.

















23.8 
ALBINATI E KUBRICK
Ne La scuola cattolica ci sono cinque riferimenti a Kubrick e ai suoi film: due a Barry Lyndon (IV.XIX e V.VI), due a Shining (V.XV e VII.XXV) e uno a 2001: Odissea nello spazio (VII.XXIII). Curiosamente, dato il fatto intorno al quale ruota tutto il libro, manca il riferimento più ovvio, cioè quello ad Arancia meccanica, pur essendo qua e là menzionata certa filmografia violenta a sfondo sessuale degli anni Settanta.
Il riferimento a 2001 e i due a Barry Lyndon sono troppo occasionali per essere in qualche modo significativi, mentre il primo relativo a Shining serve ad Albinati solo per dire che il suo professore di matematica del "Giulio Cesare" (dove egli frequentò l'ultimo anno, provenendo dall'istituto privato cattolico "San Leone Magno") era praticamente identico al barista allucinatorio che nel film serve da bere a Jack Torrance. Ma è il secondo riferimento a Shining, che costituisce anche l'ultimo a Kubrick nel libro, ad essere particolarmente significativo, perché Albinati si avventura in un'esegesi di una scena famosa condotta tutta alla luce della sua sessuofobia. Non che l'interpretazione sia necessariamente sbagliata (stiamo parlando di un'"opera aperta" per eccellenza), ma Albinati non sembra minimamente attraversato dal dubbio che possano esserci letture alternative, per esempio più coerenti con il resto delle "apparizioni" spettrali che imperversano nella seconda metà del film.












14.7
COSE CHE NON MI SPIEGO

Alcuni gesti autoriali, se così li posso chiamare, non riesco a spiegarmeli. Prendiamo La scuola cattolica. 

1) Verso la fine di II.XXIV si legge:

«Qualche anno fa un settimanale mi ha chiesto di rispondere a una lista di domande, che viene chiamata, non capisco perché, "Il
questionario di Proust"».

Ma perché devi dire che non lo capisci? Certo, lì per lì puoi non saperlo (ben pochi lo sanno), ma cosa ci vuole a fare una ricerca in
rete? Su Wikipdia, per esempio, te lo spiegano con una voce apposita. E infatti poco più avanti Albinati ci informa che, essendogli venuto in mente Tartaglia in relazione al suo vecchio compagno di classe Arbus, si è commosso leggendo in rete una breve biografia del grande matematico sfigurato.

2) In II.IX troviamo: 

«Ricopio questa frase presa da un romanzo: “E guardando la volta celeste sopra di me, immobile, muta, mi sentii un minuscolo puntino vivo sotto quell’immane cadavere trasparente”».

Siccome non si dice altro, al lettore può venire la curiosità di sapere di quale romanzo si tratti, giusto? Bastano pochi tentativi con Google
per scoprire che il passo viene da I turbamenti del giovane Törless di Robert Musil (e con Törless il narratore aveva già confrontato il proprio sé adolescenziale verso la fine di I.X). Solo che il passo preciso del Törless, nella classica traduzione italiana di Anita Rho, è questo:

«E Törless sentiva di essere tutto solo sotto quella volta immota e silente, gli sembrava di essere un piccolo punto vivo sotto
quell’immane cadavere trasparente».

Domanda: qual è il motivo delle variazioni introdotte? Cos'è che mi sfugge?



9.7
DAL CIRCEO ALL'IDROSCALO DI OSTIA

Avendo cominciato a leggere La scuola cattolica, per rinfrescarmi la memoria sul pasticciaccio brutto del Circeo (29-30 settembre 1975) sono andato a rileggermi lo scambio di vedute in merito tra Calvino e Pasolini. Ebbene, il vero romanzo, o il romanzo vero, fu quello, perché le idee e i fatti si intrecciarono nella realtà in un modo che avrebbe suscitato l'invidia del romanziere più ardito. L'8 ottobre Calvino intervenne sul "Corriere della sera" dicendo la sua sul fatto di cronaca nera e inserendolo in un discorso socio-politico di respiro europeo, se non addirittura globale, visto che tirò in ballo pure gli Stati Uniti e la loro politica estera miope sui paesi europei alleati. La sua analisi era concentrata su un settore della borghesia italiana e sul suo rapporto con la borghesia di altri paesi, come la Francia, l'Inghilterra e la Spagna. Il 30 ottobre Pasolini scrisse su "Il Mondo" una "lettera luterana" a Calvino demolendone a modo suo l'analisi sociologica e mostrando che certa violenza aveva le sue radici nella mutazione antropologica in atto, la quale, guidata dal neocapitalismo imperante, si lasciava dietro i valori tradizionali, riconosceva solo il consumo come valore unico e di conseguenza riguardava tutte le classi sociali. L'errore di Calvino, insomma, era di classe: solo perché i criminali del Circeo provenivano dalla borghesia, e non dal sottoproletariato, gli intellettuali come lui sentivano il bisogno di proporre analisi sofisticate del fenomeno, dimenticando che atti di ferocia simili avvenivano continuamente nella Roma borgatara (e non solo), anche se gli intellettuali borghesi, per una sorta di razzismo sociale, non se ne occupavano. Ecco, era il 30 ottobre e meno di tre giorni dopo Pasolini avrebbe trovato in modo clamoroso esattamente il tipo di morte descritto nell'articolo, per mano (almeno "prima facie") proprio di un giovane della suburra romana. Il 4 novembre, due giorni dopo la morte di Pasolini, Calvino replicò sempre sul "Corriere" alla "lettera luterana", sottolineando il paradosso dolorosissimo della situazione: il suo interlocutore, si potrebbe dire, poiché nell'Idroscalo di Ostia il Circeo (dei figli di benestanti che seviziano delle popolane) era stato in qualche modo ribaltato (uno del popolo che massacra uno benestante e famoso), aveva avuto ragione nel suo modo di avere torto e torto nel suo modo di avere ragione.
Ho poi cercato le menzioni di Calvino e Pasolini nel romanzo di Albinati e ho visto che i due nomi vi compaiono ciascuno tre volte, ma mai, mi sembra, in relazione al dibattito sul fatto del Circeo.





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