«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


martedì 27 dicembre 2011

Musica per organi caldi: il sillabario di Perec e Calvino





Stai per cominciare a leggere una chicca, Piccolo sillabario illustrato di Italo Calvino (più volte edito tra il 1977 e il 1985, il pezzo è stato poi ristampato in coda alla raccolta postuma Prima che tu dica "Pronto", a cura di Esther Calvino, Mondadori 1993; ora è nel terzo Meridiano dei Romanzi e racconti, Mondadori 1994, pp. 334-341). Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: “No, non voglio vedere la televisione!”. Alza la voce, se non ti sentono: “Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!”. Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: “Sto cominciando a leggere uno dei più preziosi contributi all’OULIPO di Italo Calvino!”. O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace. Prendi la posizione più comoda. Fai copia, disconnettiti, apri un documento Word e incolla. Oppure disconnettiti e stampa direttamente. Risparmierai sulla bolletta, se non hai l'ADSL. Ti attendono due compiti molto impegnativi, oltre a quello di riuscire a ricordare finalmente dove diavolo hai già letto molto di quanto precede: 1) leggere il testo di Calvino; 2) assistere a un gioco diabolico.

1) Ora leggi attentamente la perla di Calvino.



Il ‘Petit abécédaire illustré’ di Georges Perec (pubblicato privatamente nel 1969 e poi in: Oulipo, La littérature potentielle, Gallimard 1973, pp. 239 e 305) è composto di 16 brevissimi testi narrativi la cui chiave viene data in fondo: ognuno di essi equivale semanticamente a un altro testo di poche sillabe che a sua volta equivale foneticamente alla successione d'una consonante e delle cinque vocali come nei sillabari: BA-BE-BI-BO-BU, CA-CE-CI-¬CO-CU, DA-DE-DI-DO-DU, e così via per tutte le consonanti dell'alfabeto.
Per esempio: PA-PE-PI-PO-PU è reso così: «Trasferitosi a Cremona, il Sommo Pontefice scruta con ansia il fiume che manda cattivo odore. Pape épie, Pó pue».
Un'operazione equivalente presenta in italiano maggiori dífficoltà, dato che il rapporto fonetica-ortografia nella nostra lingua non permette varianti se non minime, e dato anche che i monosillabi sono più scarsi, e sopratutto che pochissime parole finiscono in u. Ho tuttavia cercato di condurre l'operazione fino in fondo, per tutte le consonanti dell'alfabeto italiano (esclusa la Q) compresi il doppio suono della C e della G e le consonanti composte GL, GN, SC: in totale 19 esercizi di sillabario.
Mi sono tenuto rigorosamente alle serie tipo BA-BE-BI-BO-BU, senza altra libertà che quella di raddoppiare la consonante e la vocale. (In qualche caso la vocale viene triplicata). Le due sole eccezioni riguardano la serie GN, in cui una vocale estranea viene elisa nella pronuncia ma non nella grafia, e la serie in P che termina con una consonante estranea semimuta. (Questo testo in P è un contributo di Giampaolo Dossena). L'uso delle sigle, raro in Perec, è stato qui necessario in parecchi casi.
Credo d'essere riuscito ad attribuire un senso a tutte le successioni di sillabe. Per la serie Z l'impresa si presentava disperata, masarebbe stato poco sportivo arrendersi proprio alla fine.



BA-BE-BI-BO-BU

Tutte le ragazze impazziscono per Bob ma egli sembra insensibile alle loro lusinghe. Saputo che Bob parte per una crociera in India, Ulrica decide d'imbarcarsi sullo stesso piroscafo, sicura che le lunghe giornate di navigazione saranno propizie alla conquista. All'amica Ludmilla, che le manifesta il suo scetticismo, Ulrica dice: «Vedrai. Appena riuscirò a sedurlo ti scriverò. Scommetto che sarà prima d'uscire dal Mar Rosso». Difatti, da Bab-el-Mandeb, Ludmilla riceve una laconica cartolina.

Bab. Ebbi Bob. U.


CA-CHE-CHI-CO-CU

Nella clinica gastroenterologica viene condotta una ricerca sulle feci dei pazienti. Ogni produzione fecale viene classificata in diciassette categorie designate da lettere dell'alfabeto: dalla A, per le più voluminose, alla Q, per quelle minuscole. Un infermiere compie ogni mattino il giro dei reparti, chiede a ogni ricoverato se ha feci recenti da mostrare, e dopo una rapida occhiata, segna la lettera corrispondente nel registro. Poche parole gli bastano a formulare domande, valutazioni e conclusioni.

- Cacche? Chicco. Q.


CIA-CE-CI-CIO-CIU

L'istituzione delle Comuni, nella Cina di Mao, si scontrò agli inizi contro gravi difficoltà. La distribuzione dei ge¬neri alimentari avveniva in modo irregolare e i magazzini di vendita al pubblico restavano talora completamente sprovvisti. Poteva succedere che una massaia che chiedeva allo spaccio la sua razione di legumi si sentisse rispondere che le scorte erano finite e che nel negozio vuoto non restava che il ritratto del primo ministro appeso al muro.
- Ci ha ceci? - Ci ho Ciu.

DA-DE-DI-DO-DU

Una giovane americana che studia bel canto in Italia non è molto dotata per il do di petto. Il maestro la implora che butti fuori la nota, e per essere più persuasivo, cerca d'esortarla in inglese a fare quanto lui le chiede.
Dà, deh, di do! Do!* 
*In inglese.

FA-FE-FI-FO-FU

Difetto di registrazione o contraffazione intenzionale della voce, dal disco non si riusciva a riconoscere chi era l'attore comico che aveva inciso quello sketch. Ma bastò

ascoltare la registrazione con un impianto hi-fi per non avere più dubbi.

- Fa fe' fi: Fo fu.


GA-CHE-CHI-GO-GU

Un certo Ghigo fa ridere di sé ogni volta che per difendere un suo diritto sbandiera un decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Gag è Ghigo: - Ho G. U.


GIA-GE-GI-GIO-GIU

- Questa volta non mi scappi, Joe! - disse lo sceriffo. ¬Butta a terra le pistole, svelto! Non è il momento di metterti a gingillare!

- Già aggeggi, Joe? Giù!


GLIA-GLIE-GLI-GLIO-GLIU

Un erbivendolo toscano, sentendo che qualcuno si do¬manda se ha dell'aglio, risponde che i suoi agli sono sugosi come l'olio.

- Gli ha agli egli? - Gli ho ogli, uh!


GNA-GNE-GNI-GNO-GNU

La signora Agnese, in dialetto Gnà Agnè, è paragonata, da un poeta che la corteggia, a un'antilope di fuoco, anzi a tutte le antilopi di fuoco che si possono immaginare.

Gnà Agnè è (o)gni igneo gnù.

LA-LE-LI-LO-LU

Nei suoi inquieti amori con Nietzsche, Lou Salome avrebbe ben voluto provocare nell'amico una levitazione non solo spirituale ma anche fisica. Battendosi le mani sulla fronte, il filosofo le rispondeva che solo la sua mente era dotata d'ali per innalzarsi a volo.

- L'ale li l'ho, Lou!


MA-ME-MI-MO-MU

I maestri del buddismo Zen, posti di fronte a una do¬manda che non ammette altra risposta che un si o un no, ricorrono a un terzo termine: mu, parola giapponese che significa: «né sì né no» ossia «questa domanda è malposta». Così anch'io accompagno i sì e i no che mi vengono strappati dalle circostanze con alzate di spalle e scrollate del capo che si rivolgono sopratutto a me stesso. 

- Ma a me mimo mu.


NA-NE-NI-NO-NU

L'obiezione che veniva mossa alla nomina di Pietro Nenni a Ministro degli Esteri era che egli non godesse della simpatia degli ambienti diplomatici americani. 1 suoi sostenitori controbattevano questo argomento ricordando che poteva contare su molti amici alle Nazioni Unite. 

- N'ha Nenni in ONU.


PA-PE-PI-PO-PU

(da Giampaolo Dossena)

1944. Il cielo notturno dell'Italia del Nord occupata dai Tedeschi è solcato non solo dalle potenti squadriglie dei bombardieri americani ma anche da un piccolo aereo inglese solitario, che ogni notte sorvola campagne e paesi sperduti e sgancia qualche bomba ogni tanto senz'altro obiettivo apparente che quello d'una sua «guerra dei nervi». Gli Italiani hanno imparato a riconoscere il suo rombo e a non mettersi in allarme per le sue visite quasi sempre inoffensivo. Lo chiamano «Pippo».
Una notte stavo leggendo il libro di Desiderius Papp Avvenire e fine del mondo e riflettevo sulla fuga delle galassie, sull'esplodere e spegnersi delle stelle, sulle prospettive d'un'estinzione della vita sulla terra. Fu allora che sentii un rombo avvicinarsi nel cielo, poi un'esplosione. «Pippo» aveva sganciato una bomba. Dalle remote lontanze del cosmo, fui riportato improvvisamente al «qui e ora». 

- Papp, e Pippo: Pu(m)!


RA-RE-RI-RO-RU

Quando alla Segreteria delle Nazioni Unite fu insediato un birmano, c'era chi si domandava se la cattiva pronuncia della lettera «r», caratteristica degli orientali, non avrebbe causato difficoltà. Invece in pochi mesi U Tant dimostrò di padroneggiare benissimo la fonetica occidentale. E un amico se ne congratulò con lui, dandogli atto che ormai solo poche volte la pronuncia di una «erre» lasciava a desiderare.

- Rare erri «r» or, U.

SA-SE-SI-SO-SU

I
Per convincere il proprietario d'un night-club a scritturarla, una spogliarellista lo assicura della propria efficacia nel provocare l'eccitazione degli spettatori.

- Sa? Sessi isso su!


SCIA-SCE-SCI-SCIO-SCIU

Uno studioso di linguistica comparata, giunto in Persia per verificare alcune particolarità della fonetica indoeuropea, si avventura nel palazzo dello Scià. Un giannizzero gli intima d'uscire, avvertendolo che l'imperatore ricorre ancora alla decapitazione mediante la scure. Con candore, lo studioso si limita a indicare l'oggetto della sua ricerca: l'origine delle desinenze in u nei dialetti della Campania preromana, particolarmente in quello degli Osci.

-Scià ha asce! Esci! Sciò! - Osci u.


TA-TE-TI-TO-TU

Un impiegato di banca toscano, a un amico che gli chiede schiarimenti sulla causale d'una cifra che risulta addebitata al suo conto corrente, spiega che si tratta del pagamento della bolletta del telefono che la banca preleva d'ufficio per versarla alla società TETI.

- T'ha TETI tot, tu.


VA-VE-VI-VO-VU

Apparizione insolita nel centro della metropoli, una gallina attraversava lentamente la strada provocando bruschi arresti nel traffico. Un cittadino s'affrettò ad avvertire un vigile urbano, con parole rapide e un po' enfatiche.

- Va ave vivo, V.U.!


ZA-ZE-ZI-ZO-ZU

Il verbo «zazzeare» è usato di rado ma figura nei dizionari col significato di «andare a zonzo». Un tale, che ama i vocaboli desueti e per di più fa un frequente uso di elisioni, incontra suo zio e gli chiede se va a spasso. Lo zio che a sua volta ha la mania d'usare a dritto e a traverso preposizioni tedesche, gli risponde che è diretto al giardino zoologico.

- Zazze', zi? - Zoo zu!


2) Anni fa proposi agli amici del forum docenti neoassunti (sempre nell’area del cazzeggio chiamata “Caffè”) di fare il verso a Calvino, rifacendo più e più volte il sillabario, magari con trovate scherzose e dissacranti. Molti risposero all'appello, ma solo pochi pazzi riuscirono a completarlo. Quelli che seguono sono i miei contributi alla folle impresa. 

BA-BE-BI-BO-BU

1
Funzionava così. Umberto, il capo degli ultras bergamaschi, prima di scegliere un calciatore di colore della squadra avversaria da prendere di mira nei cori razzisti da lui diretti, si consultava con Irene, la sua fidanzata, che anche allo stadio gli stava sempre accanto. Ludmilla, però, raramente gli era d’aiuto, perché, eternamente strafatta, spesso si limitava ad alzare le spalle emettendo suoni che denotavano un’incertezza ebete e trasognata. Quella volta assistevano a un Atalanta-Milan.
[N.B. Quando scrissi questo pezzo il Milan aveva un calciatore di colore che si chiamava Ba]

- Ba, baby*? *In inglese
- Bo(h)!
- Buu…!

2.
Roberto, notissimo tipo da spiaggia, lavora così. Se ne sta sotto l'ombrellone e manda un suo scagnozzo in giro con una sua fototessera in cerca di pollastre per il suo harem. Un giorno, però, gli andò malissimo e il suo scagnozzo tornò con i numeri di telefono di donnine da quattro soldi.

Babbe ebbi, Bob. UH!

CA-CHE-CHI-CO-CU

Nell’anno 2020 il federalismo italiano, com’era facilmente prevedibile, imboccò la strada del secessionismo estremista e Venezia, tornata ad essere uno stato indipendente, cadde nelle mani di un’orda di leghisti talebani. L’intolleranza xenofoba raggiunse livelli grotteschi e squadre speciali di Camicie Verdi avevano il compito di sorvegliare e punire i turisti non padani in qualche modo indisciplinati. I reati e le relative sanzioni, per venire incontro al grado di alfabetizzazione delle forze dell’ordine, vennero indicati nel codice penale con una vocale diversa, secondo la seguente tavola di corrispondenza:

A come “acqua” = reato igienico (turisti sporchi e sudati), punito con tre immersioni nel Canal Grande a testa in giù;
E come “espulsione” = reato politico (turisti senza permesso di soggiorno);
I come “internamento” = reato sociale e razziale (turisti che cercano inciuci con gli autoctoni);
O come “ospedale” = reato penale (turisti accusati di associazione a delinquere), punito con manganellate;
U come “ustione” = reato culturale (turisti ignoranti su Venezia), puniti con lo spegnimento di una cicca sulla mano.

Un giorno capitarono a Venezia Alfio e Rosalia, i quali, avendo letto su un depliant che lì i palazzi si chiamano Ca’ e che alcuni sono “Chic” (che loro leggevano così come si scrive e pensavano fosse un nome proprio), chiesero a una guardia dove si trovasse “Ca’ Chic”. La guardia, per essere sicura, si fece ripetere la domanda, e quando comprese che aveva di fronte due terroni ignoranti, li fece arrestare e punire secondo il codice “U”.

- Ca’ che?
- Chic…
- Ok, U!


CIA-CE-CI-CIO-CIU

1
A Little Italy la Cupola s’è riunita d’urgenza perché un informatore ha riferito che i servizi segreti americani stanno infiltrando agenti nella cosca di Ciccio Panzaloca Jr. Poche le parole: fu detto il fatto e il patto in atto.

- CIA c’è!
- Ciccio c’ìu… 

2
In una pizzeria di Little Italy, frequentata solo da picciotti italoamericani, entrano gli agenti della CIA per cercare Don Ciccio Panzaloca, noto boss della mafia, che secondo le dichiarazioni di alcuni pentiti di Guantanamo collabora con il terrorismo islamico. Naturalmente gli avventori della pizzeria non cantano. Piuttosto, assumendo l'atteggiamento richiesto dal codice, cinguettano distrattamente.

- CIA! C'è Ciccio?
- Cììu...

DA-DE-DI-DO-DU

Il papà di Pierino insegna inglese alle medie, ed è così fissato che sin da quando il figlio ha cominciato a parlare ha preteso che si rivolgesse a lui chiamandolo “Dad”. Ora Pierino, che frequenta la prima media e naturalmente odia l’inglese, sta facendo i compiti e si vendica chiedendo al padre delucidazioni persino sul tempo dell’ausiliare da anteporre alle più semplici frasi interrogative.

Dad, è “did” o “do”?

FA-FE-FI-FO-FU

1.
In risposta ai frequenti attacchi satirici del noto giullare premio Nobel per la Letteratura, l’Ufficio Stampa di Forza Italia, dopo aver affidato agli Onorevoli Vito e Schifani il compito di una rigorosa analisi critico-letteraria della sua opera omnia, sentiti anche gli autorevolissimi pareri storico-filologici dei Ministri Bossi e Gasparri, ha comunicato ufficialmente che, secondo il Cavaliere, Dario Fo è un autore ormai superato, anzi, artisticamente parlando, praticamente defunto.

Fa fe’ F.I.: Fo fu

[Si noti che, sul piano sintattico, la mia sequenza è praticamente identica a quella di Calvino, mentre è ben diversa sul piano semantico] 

2. 
Prima di cominciare a scrivere le Philosophische Untersuchungen (indicate con P[h]U in molti saggi su Wittgenstein), cioè al tempo in cui, trentenne, si preparava per l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole elementari, Wittgenstein pensò di darsi alla musica, sia perché era la sua più grande e autentica passione, sia anche perché voleva emulare il fratello Paul, noto pianista. Come spesso gli capitava, però, bastò un piccolo incidente per fargli abbandonare il progetto. Infatti, come spiegò poi a Russell (la cui preziosa testimonianza è stata tradotta in fiorentino aulico in un volume fuori commercio de La Nuova Italia), un giorno dal suo clarinetto, invece di un FA, uscì un sibilante FIII, per cui decise di tornare alla filosofia. Così nacque il “secondo” Wittgenstein.

- FA fe’ FIII!!!!! Fo Ph.U.!


GA-GHE-GHI-GO-GU

Il compianto Giorgio Gaber, il “Signor G.”, prima di morire stava pensando di dedicare uno dei suoi esilaranti monologhi amletici a una questione linguistica apparentemente futile, ma inquietante per chiunque si accosti all’inglese con spirito tassonomico: perché mai, se “I do” si legge “Ai du”, “I go” non si deve leggere “Ai gu”?

G. ha gag: “(A)I… go o gu?” 


GIA-GE-GI-GIO-GIU

Un funzionario dell’ACI di Genova, che quando parla di auto in città indica quest’ultima con l’eventuale sigla della targa automobilistica, si sta complimentando con l’amico Gigi, appena arrivato nel capoluogo ligure in macchina dalla Sicilia in tempo record.

Già a GE, Gigi, oggi? Uh!


GLIA-GLIE-GLI-GLIO-GLIU

Lo Chef anglo-toscano di un noto ristorante fiorentino sta dando disposizioni ai suoi collaboratori su chi deve occuparsi di sbucciare i vari tipi di aglio e su chi, invece, deve occuparsi di distribuire nelle apposite oliere i vari tipi di olio.

- Gli agli, egli; gli ogli, you.


GNA-GNE-GNI-GNO-GNU

Ignazio e Agnese Guttadauro (Gna’ e Agne’ per gli amici) sono una coppia latinoamericana di origini siciliane. Non potendo avere figli, hanno sviluppato una grande passione naturalistica. Adesso devono decidere se adottare un bambino o allevare un’antilope. 

Gna’ a Agne’ G.: “Nigno o gnu?”.

LA-LE-LI-LO-LU

1.
Humbert Humbert partorì una delle sue idee perverse. Immaginò di convincere Lolita a tatuarsi due lettere, la E su una chiappa e la U sul monte di Venere, debitamente depilato. Le due lettere dovevano formare il prefisso di origine greca che dice il bene e la felicità (la loro, e soprattutto la sua). Andò a farle la proposta di mattina, quando per lui era solo Lo, e la trovò, come al solito, "ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo".

Là l'E; lì, Lo, l'U.

2.
Il perverso triangolo Paul Rée-Lou Salome-Friedrich Nietzsche arrivò al punto che i due uomini imposero alla donna di portare addosso la lettera scarlatta, attaccata alle mutande con un fermaglio. Un giorno Lou si accorse di averla persa e andò a cercarla direttamente a casa di Paul (era sicura di non essersi mai spogliata da Friedrich, al quale nel gioco a tre era stato affidato il ruolo di Onan il Platonico). 

- L’“A” l’è lì?
- L’ho, Lou.


3.
Scena tipo sequenze iniziali di "Barry Lyndon". La Contessa Ale Serbelloni Vien Dal Mare, ormai piuttosto attempata, coinvolge il giovane Luca di Montezemolo in un gioco malizioso in cui il ragazzo deve trovare un nastrino che la donna ha nascosto addosso da qualche parte. Dopo vari tentativi falliti, il giovane capisce, arrossendo, che la donna ha nascosto il nastrino nelle mutande. E le chiede conferma prima del temerario gesto di allungare le mani...

- L'ha, Ale, lì?
- L'ho, Lu'.


MA-ME-MI-MO-MU

1.
Ero stato proprio io a soprannominarlo Mu, sia perché era muto, sia perché, quando gli facevamo degli scherzi particolarmente crudeli (di solito orditi da me, già allora il bullo del branco), Mu muggiva come un bue, non potendo bestemmiare. Ma ora Mu è diventato un grande mimo muto, ed è stato chiamato a testimoniare perché ha assistito per caso a un omicidio di gruppo con stupro. Ecco, il Telegiornale manda in onda l’intervista al suo avvocato subito dopo la deposizione di Mu. Cosa? Dice che ha mimato uno storpio guercio? Sia maledetta quella mina antiuomo che pestai a Kabul, quella volta che decisi di farmi un giro di turismo sessuale pedofilo, e che mi portò via mezza gamba e un occhio! Ora verranno a prendermi. Eccoli, sono dietro la porta. Ho appena il tempo di avvertire la mamma con un SMS.

Ma’, me mimò Mu.

2.
Il professor Landolfi da Caserta, docente di lingue straniere, su suggerimento del professor Scudero, matematico famoso in tutta la piana di Catania, invitò Douglas R. Hofstadter, autore del celebre volume di logica, scienze cognitive e informatica Gödel, Escher e Bach. Un’eterna ghirlanda brillante(1979, edito in Italia da Adelphi nel 1984), a tenere un seminario alle mamme dei suoi alunni presso l’aula magna della scuola dove insegna. Hofstadter cominciò proponendo alle gentili signore partenopee il suo difficilissimo “Gioco MU”, cui è dedicato il primo capitolo del suo libro. Questo gioco consiste nel derivare la stringa MU da un sistema assiomatico, il cosiddetto Sistema MIU, così concepito:

1) 3 elementi: le lettere dell’alfabeto M, I, U;
2) 1 assioma: MI; 
3) 4 regole per la costruzione di stringhe ben formate: 

I) Se si possiede una stringa che termina con una I, si può aggiungere una U alla fine;
II) Se si ha Mx, allora si può includere Mxx nella collezione;
III) Se in una data stringa della collezione c’è III, si può costruire una nuova stringa mettendo una U al posto di III;
IV) Se all’interno di una delle stringhe della collezione c’è UU, si può eliminarlo.


Il maligno gioco, di cui i lettori del tremendo libro (almeno quelli che sono sopravvissuti fino al capitolo IX) conoscono l’indecidibilità, comincia quando chi lo propone, dopo aver illustrato il sistema MIU, comunica che l’unico assioma disponibile come punto di partenza per la derivazione di MU è MI. Il professor Landolfi si incaricò di fare da interprete per le sue compaesane.

- Mamme, MI! Mo’ MU!


NA-NE-NI-NO-NU

Ogni sera, prima di andare a puttane, Nino e Nunzio, due siciliani brancatiani, si consultano laconicamente sulla statura delle donnine da rimorchiare. Questa volta non si trovano d’accordo.

- Nane, Ni’?
- No, Nu’.


PA-PE-PI-PO-PU

Pippo è un ragazzino di buona famiglia e di buone letture, che inconsciamente detesta sia la mamma, che ancora lo vizia con le pappine, sia il papà, che ascolta sempre i Pooh. Un giorno, mentre legge il capitolo CXXIX di Moby Dick, ha un’illuminazione filosofico-esistenziale e in tre parole esprime le categorie dello spirito che la vita gli pone davanti per una scelta decisiva: essere un pappamolla come vorrebbe la mamma, essere eroicamente leale a un ideale (anche se esso dovesse assume le sembianze del folle capitano Achab), oppure essere un borghesuccio ipocrita come papà che alla donna con cui tradisce la moglie canta “Tanta voglia di lei”.

“Pappe, Pip o Pooh?”.


RA-RE-RI-RO-RU

1
Ubaldo, dalla guerra tornato al seguito di re Carlo, apprende che morta è di dolor la sua Rosamunda. A pezzi nel cor, ancor non crede alla triste novella. Al sepolcro va allor, e sul cenere muto or piange e freme di sconsolato amor, un tempo sì casto e cortese qual s’addicea a un prode cavalier. Al fin, freddo sulla lapide un epitaffio incide: parole parche, scabre ed essenziali, ardito iperbato separante, preziose apocopi, di Rosamunda a dir virtute e lontananza.

Rar eri, R., or. 
U. 

2
Dopo sei anni di insegnamento nella ridente cittadina di Niscemi, ho non solo imparato il dialetto, con quella inconfondibile 'r' al posto della 'd' nella preposizione semplice "di", ma ho anche appreso alcune curiose forme sincretistiche di religiosità, risalenti ad antichissime commistioni di culti. Un'antica preghiera in dialetto, ad esempio, comincia con una invocazione al Re dei Cieli in cui il Dio cristiano è anche il Ra degli egizi e il vitello d'oro di certe derive idolatriche degli ebrei.

Ra, Re eri r'oru. 

SA-SE-SI-SO-SU

1.
Alfio Patanè passeggia nervosamente davanti al portone scrostato di un vecchio caseggiato del quartiere Cibali. Sembra che aspetti qualcuno. A un tratto il portone si apre e ne esce un cinquantino segaligno in gessato nero, occhiali spessi di tartaruga, capelli impomatati colla scriminatura laterale dritta e netta, pelle e fare untuosi tipici del sensale matrimoniale. La bocca contratta in un sorrisetto trionfante mette in mostra denti guasti e canini. Alfio lo guarda: bastano poche parole per capirsi e sparire insiene oltre il portone.

- Sa s’è sì?
- So, su! 

2. 
Sara, una single romana eternamente in cerca di sveltine, incontra un’amica con la quale non si vede da tempo. Sin dall’epoca dell’università (facevano entrambe Economia e Commercio) hanno sviluppato un piccolo gergo privato, chiaramente allusivo dietro l’apparenza borsistica, per comunicarsi rapidamente come stanno le cose in fatto di conquiste maschili. Questa volta Sara fa sapere all’amica che l’indice è positivo.

- Sa’, a sessi?
- So’ ssu.

3
Omaggio a Frederick Forsyth 
(il neretto segnala titoli di opere del grande autore inglese)

Mike Martin, veterano inglese del Reggimento dello Special Air Service (Sas), era stato convocato alla Century House dal Secret Intelligence Service (Sis) per una missione speciale segretissima. Travestito da afghano, avrebbe dovuto sfruttare le sue doti di simulatore per infiltrarsi in una cellula di Al Qaeda e sabotare i piani dei mastini della guerra di Bin Laden, che stavano pianificando un attentato a Londra, come era stato riferito all’MI-6 da un capo talebano (già da anni reclutato dallo stesso maggiore Mike) nel quarto protocollo del suo Dossier Odessa (così chiamato perché inviato dal Mar Nero). Verso la fine della missione, però, qualcosa andò storto. L’icona di Mike fu smascherata e, nonostante i maneggi di un amico negoziatore, un vendicatore fondamentalista, noto come Lo Sciacallo, era sulle sue tracce per catturarlo, vivo o morto. A quel punto, il valoroso maggiore Mike Martin, nome in codice U, si trovò di fronte a un’alternativadel diavolo, che in entrambi i casi equivaleva a un fallimento: farsi prendere o chiedere aiuto ai superiori per essere prelevato da un commando del Sas. Per amore della vita, scelse il disonore di essere salvato e trasmise di notte il messaggio criptato di richiesta d’aiuto che era stato convenuto.

“Sas & Sis. SOS”. U.


SCIA-SCE-SCI-SCIO-SCIU

Una giovane coppia di coatti romani sta caricando gli ultimi bagagli in macchina per andare in vacanza a Taormina. Lei, che ha il vezzo di rivolgersi a lui dandogli dello scemo, è indecisa se portare o no gli sci. Lui, che ha imparato due pronomi inglesi grazie alla tariffa “You & Me”, decide per il sì, perché gli sci possono tornare utili a entrambi.

- Sci, a sce’?!
- Sci! Sci io, sci you!


TA-TE-TI-TO-TU

1.
Evidentemente era un dettaglio decisivo, lassù. Infatti, mentre stava per spirare, Gesù si ricordò di chiedere a uno dei due ladroni se avesse derubato e violentato bambinaie. 

Tate… Tito… tu…?

2.
Il tipico sms “di servizio” che Rosalia manda al suo amante è un “Ti amo” abbreviato e rafforzato con un dativo di vantaggio poco regolamentare ma molto espressivo, seguito da un sincopato “ti telefono io o telefoni tu?”.

T.A. a te. Ti t. o t. tu? 

VA-VE-VI-VO-VU

Un alcolizzato tossicodipendente sta leggendo una lettera dell’AVIS in cui, nel ringraziarlo per la gentile disponibilità, lo si invita perentoriamente a non presentarsi più nei locali dell’Associazione per effettuare donazioni di sangue. Indispettito, Ugo (così si chiama l’uomo) telefona alla Direzione, dove ha un amico, dal quale ottiene delucidazioni più dettagliate sulla composizione del proprio sangue.

- V’avevi Vov, U’!

ZA-ZE-ZI-ZO-ZU

Quattro erano le fisime di mio zio, il cav. comm. on. prof. Ugù: Queneau, i palindromi, le abbreviazioni e i capelli lunghi. Ecco perché il suo unico figlio, mio coetaneo e compagno di giochi nella prima infanzia, non poteva che chiamarsi Zaz. Costui, però, non aveva nulla della raffinatezza, per la verità un po’ troppo snob e codina, del mio povero zio. Zaz, infatti, aveva modi molto plebei, resi ancor più imbarazzanti dai capelli lunghi, disordinati ed eternamente sporchi e soprattutto dal vezzo disgustoso di leccarsi le dita appena uscite dal naso. Un giorno non riuscii a trattenermi dallo sfogarmi con lo zio, e per dirgli che Zaz era un tralignato ricorsi al lessico icastico del nostro dialetto e a una costruzione allitterata che lui apprezzò molto.

Zaz è, zi’, zozzu.

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