«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


domenica 25 dicembre 2011

Intervista di James Maddione per «Vision» (luglio 2011)





Da dove è nata l'idea di scrivere un saggio su Umberto Eco?

Da lettore frequento Eco da oltre vent'anni e già quasi sette anni fa ho pubblicato su una rivista di critica letteraria un saggio su La misteriosa fiamma della regina Loana, che è finito nella bibliografia internazionale su Eco e che in parte ho ripreso in un paragrafo del libro. Arrivare a scrivere un volume intero di critica filosofico-letteraria su Eco è un sogno che coltivo da tempo, perché si tratta non solo di rendere omaggio allo scrittore cui devo tantissimo per la mia formazione culturale, ma anche di affrontare una sfida intellettuale estremamente difficile e affascinante.

Perché il sottotitolo "Odissea nella biblioteca di Babele"? A cosa allude?

Tale espressione, oltre a riferirsi alla biblioteca del Nome della rosa, allude a tre opere celebri: il poema omerico, il film 2001: odissea nello spazio di Kubrick e il racconto La biblioteca di Babele di Borges. Il mio saggio intende proprio ripercorrere i sei romanzi di Eco alla luce delle suggestioni filosofiche fornite da queste tre opere, che Eco, come cerco di dimostrare, ha ben presenti: il viaggio conoscitivo di Ulisse, lo smarrimento oltre l'infinito della visione kubrickiana e l'incubo della biblioteca illimitata immaginata da Borges sono "figure" che Eco mette in scena nei suoi romanzi e i suoi personaggi sono come dei naviganti che, ciascuno a suo modo, naufragano nel mare della conoscenza perché vittime della tipica propensione umana a perdersi tra i flutti delle credenze più assurde e bizzarre. Questo spiega anche perché Eco appaia così difficile: è che per renderci conto della nostra follia erasmiana dobbiamo attraversare il bosco del nostro sciocchezzaio cognitivo e culturale.

Come mai sceglie autori difficili da decifrare così come è successo in passato con Wittgenstein e D'Arrigo?

Perché se ti occupi di letteratura e filosofia, di fronte a opere come il Tractatus logico-philosophicus, Horcynus Orca e Il pendolo di Foucault hai due alternative: o passi la vita a ignorarle, come fa del resto la stragrande maggioranza degli esseri umani, o le affronti a viso aperto e seriamente a costo di rimanerne ossessionato. Io ho scelto la seconda strada, che naturalmente non penso sia per forza più saggia o intelligente della prima. Ognuno sceglie il proprio modo di tenersi occupato in attesa dell'arrivo della morte.

A quale lettore è rivolto il suo saggio?

Mentirei se dicessi che è un libro per tutti. Sarebbe ancora peggio se dicessi che è un libro per tutti e per nessuno, perché, pur dicendo in un certo senso e per paradosso la verità, farei la scimmia di Nietzsche, che definiva così il suo Così parlò Zarathustra. È senza dubbio un libro complesso, se non altro perché in circa duecento pagine mette in gioco una quarantina di opere di Eco, romanzi inclusi, per non dire delle decine e decine di libri di altri autori citati. Tuttavia mi sono sforzato di non essere accademico e di usare uno stile accessibile e brioso, in modo da catturare l'attenzione del lettore colto e curioso e di stimolare e sfidare la sua intelligenza.

Dove sarà proiettato il lettore che decide di intraprendere questo "viaggio" in compagnia di Umberto Eco?

Sarà proiettato in un viaggio allucinante e filosoficamente sofisticato nel labirinto dell'Enciclopedia, cioè del sistema rizomatico dello scibile umano. È questo che Eco propone nei suoi romanzi e i lettori sono chiamati a un vero e proprio rito di iniziazione culturale per affrontarli, come cerco di dimostrare nel libro.

Come è articolata l'intervista al saggista e scrittore di fama internazionale, studioso di comunicazioni di massa, filosofia e semiotica?

Ho incontrato Eco due volte: nel gennaio del 2007 a Milano e nel gennaio del 2010 a Venezia. Nella prima occasione abbiamo intavolato una discussione molto articolata sulla sua opera, il cui resoconto e la cui trascrizione parziale (cioè nella parte di cui esiste la registrazione audio) si trovano in una delle due appendici del libro. Nella seconda, invece, gli ho comunicato che stavo lavorando a un libro su di lui, gli ho consegnato un breve estratto del libro in preparazione e gli ho chiesto di chiarirmi un dubbio erudito su un passo del Pendolo di Foucault che per me era molto importante e che mi stava ossessionando. Il resoconto di questo chiarimento e ciò che ne ho dedotto si trovano nel libro.

In che modo è stato influenzato dal romanzo Il nome della rosa?

La prima lettura di questo romanzo, che ho fatto nel 1988 a diciannove anni, è uno degli eventi decisivi della mia vita intellettuale. Per anni l'avevo guardato e toccato come le scimmie di Kubrick guardano e toccano il monolito nero nelle famose sequenze iniziali di 2001: odissea nello spazio. Affrontandolo, poi, ho percepito l'abisso culturale che mi separava dalla possibilità stessa di capirlo e così questo romanzo ha agito su di me come stimolo culturale meglio di qualsiasi maestro in carne ed ossa, un po' come fa con le scimmie il monolito nero, spingendole con la sua presenza misteriosa ad uscire dallo stato di beata e pacifica minorità in cui erano vissute per milioni di anni. A questo significato pedagogico del Nome della rosa rendo omaggio nel libro proprio per sottolineare cosa può voler dire incontrare nel momento giusto della vita un autore come Eco.

Cosa si prova ad essere inseriti in una collana di saggi che raggruppa i testi di diverse personalità importanti della filosofia?

L'uscita del libro nella collana filosofica "I Cento talleri" della casa editrice Il Prato di Padova, diretta dal giovane filosofo Diego Fusaro (un autentico genio precoce del pensiero italiano contemporaneo, allievo di Gianni Vattimo e non ancora trentenne), è per me un motivo di grandissima soddisfazione, perché mi ritrovo nel catalogo in compagnia di personaggi come Giovanni Reale, Enrico Berti, Mario Vegetti, Sossio Giametta, Costanzo Preve e lo stesso Fusaro, già autore di importanti lavori su Marx, sullo storicismo tedesco e sulla filosofia greca antica.

Ci può spiegare quando è sbocciato il suo amore per la filosofia?

Credo di poter fissare una data. Nell'estate del 1986, all'eta di diciassette anni, lessi il bellissimo romanzo di Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere, uscito un paio d'anni prima, e rimasi letteralmente folgorato da quel meraviglioso incipit tutto giocato sull'idea dell'eterno ritorno di Nietzsche, il filosofo su cui otto anni dopo avrei fatto la tesi di laurea.

Cosa si aspetta dalla critica?

Spero che qualche lettore competente scovi nel mio libro almeno una grossa fesseria. Gliene sarei grato, perché, come ripeteva Karl Popper (del quale ho parlato molto con Eco, come si vedrà nel libro), possiamo imparare solo dai nostri errori.

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