«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


venerdì 27 gennaio 2012

Come parlare di un libro senza averlo mai letto


Pierre Bayard e Umberto Eco


Per alcuni anni, grazie a Umberto Eco che ne ha parlato qua e là, nelle conversazioni in rete con gli amici ho fatto spesso riferimento a un libro uscito nel 2007 che non avevo mai letto ma che penso, non del tutto infondatamente, di conoscere ormai abbastanza bene. Ora questo libro l'ho finalmente comprato e, dopo averne letto il prologo e l'indice e averne leggiucchiato rapidamente qualche pagina, magari perché attratto dai titoli di certi libri a me familiari ivi citati e discussi, sono in grado addirittura di recensirlo in questa breve nota consigliandone vivamente la lettura, pur essendo quasi certo che non arriverò a leggerlo tutto per mancanza di tempo (anche se sono solo 205 pagine). Si tratta di un saggio brillante dello psicanalista e professore di letteratura francese all'Università di Parigi VIII Pierre Bayard e in esso si analizza il complesso rapporto che abbiamo con i libri. Con stile ironico e provocatorio, Bayard arriva persino a ridefinire la nozione stessa di lettura, che necessariamente deve comprendere quella di non-lettura, perché di libri non letti è pieno il nostro bagaglio culturale ed è intessuta la nostra stessa vita (quante volte, per esempio, ho spiegato a scuola con sfrenata passione la Critica del giudizio di Kant, pur avendone letto sì e no il 30%? Per non parlare del torrenziale Corso di filosofia positiva di Comte... E vogliamo aprire il doloroso capitolo degli Analitici di Aristotele, visto che posso vantarmi di essere un vero esperto di sillogistica?). Il caso estremo, discusso nel primo capitolo, è quello rappresentato dal bibliotecario de L'uomo senza qualità (che tutti abbiamo letto, no?), il quale ci tiene a precisare di non aver letto nemmeno uno dei milioni di libri che custodisce con amore e di limitarsi invece a leggere i cataloghi dei libri, allo scopo di mantenere una visione di insieme e di evitare ingiuste preferenze. Bayard usa questo bibliotecario come modello per dire che l'uomo colto non è chi legge i libri (il numero di libri che si possono leggere in una vita è sempre trascurabile rispetto alla loro totalità in atto), ma chi, pur non leggendoli, riesce a conoscerne la collocazione nella biblioteca collettiva condivisa in un dato momento storico-culturale (e sapere come un libro si colloca in tale biblioteca è tutto ciò che occorre sapere su di esso).
La cosa davvero interessante che fa Bayard è quella di proporre un nuovo modo di scrivere le note, aggiungendo (oltre ai tradizionali op. cit., ibid., ecc.) una sigla che segnala il grado di conoscenza che lui ha dei libri citati e il relativo giudizio che ritiene di poter formulare, secondo la seguente tavola delle abbreviazioni (riportata a p. 6):

LSC: libro sconosciuto
LS: libro sfogliato
LSP: libro di cui ho sentito parlare
LD: libro dimenticato
++: giudizio molto positivo
+: giudizio positivo
-: giudizio negativo
- -: giudizio molto negativo.

E così, l'Ulisse di Joyce è LSP ++; l'Odissea, la Recherche, L'uomo senza qualità e Il nome della rosa sono LS e LSP ++; la Coena Cypriani è LSC -, la Poetica di Aristotele è LSP +, e così via. Si noti l'assenza delle sigle LL e LNL: nel suo libro Bayard vuole dimostrare, infatti, che la distinzione tra libri letti e libri non letti è superficiale e non rende conto correttamente del nostro reale rapporto con essi.
Il libro, edito in italiano da Excelsior 1881 (Milano 2007, € 16,50), è diventato meritatamente famoso in tutto il mondo, e io lo considero di notevole spessore teorico, oltre che di gradevolissima e divertente lettura. Fidatevi: pur non avendolo mai letto per intero, l'ho sfogliato tutto e ne ho sentito molto parlare da chi si intende di queste cose, come Eco, il quale peraltro è molto citato nel libro, soprattutto nel terzo capitolo della prima parte, interamente dedicato a Il nome della rosa (cfr. pp. 47-61). Inutile precisare che, come tutti sanno, in quel romanzo il protagonista è ossessionato da un libro che conosce benissimo ma che non ha mai letto né leggerà mai per intero, perché, non appena lo trova, esso finisce in parte bruciato e in parte nella pancia del vecchio bibliotecario cieco. Del resto, a sentire quali libri Bayard e lo stesso Eco (per esempio in Non sperate di liberarvi dei libri, Bompiani 2009, che però ho letto per intero) dichiarano di non aver mai letto o di non aver mai letto per intero, possiamo tranquillamente ridere in faccia a qualsiasi senso di colpa dovesse un giorno provare ad assalirci per le nostre mancate letture apparentemente più imperdonabili. Bayard, per esempio, con notevole faccia tosta, relega L'interpretazione dei sogni tra i LD (e pensare che è uno psicoanalista!). Per quanto riguarda i tre romanzi-mostro, la mia situazione è la seguente:
Ulisse = LL ++ (ci torno spesso)
Recherche = LL e in gran parte LD ++ (ero troppo giovane quando l'ho letto)
L'uomo senza qualità: = LS e LSP ++ (insomma, è lì che mi guarda da 20 anni, ma dopo le prime 150 pagine l'ho abbandonato e lo vado esplorando da anni qua e là, a seconda dei luoghi che mi capita di visitare sulla base delle suggestioni più varie).

Dimenticavo: il libro si intitola Come parlare di un libro senza averlo mai letto.
 
 
P.S. Alla fine il libro l'ho letto tutto...  Saggio piacevole, ma molto discutibile la tesi di fondo, una sorta di inno all'ermeneutica selvaggia postmoderna. Bayard sostiene la priorità netta dell'intentio lectoris non solo rispetto all'intentio auctoris (che può andare bene) ma anche rispetto all'intentio operis: roba da fare accapponare la pelle a Umberto Eco. La tesi è riassunta dal seguente pensiero di Oscar Wilde (cui è dedicato l'ultimo, schioppettante capitolo, incentrato sull'analisi del dialogo-saggio Il critico come artista): "Non leggo mai il libro che devo recensire; non vorrei rimanerne influenzato" (è anche l'epigrafe di tutto il libro).
 





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4 commenti:

  1. Joachim Fergenseld è tedesco, ma ha scritto la sua Pericalypse in olandese (idioma che quasi non conosce, come egli stesso ammette nell’introduzione) e l’ha pubblicata in Francia, paese famoso per le sue catastrofiche bozze di stampa. Neppure chi redige questa nota conosce l’olandese, ma in base al titolo del libro, all’introduzione in inglese e ai molti vocaboli comprensibili del testo s’è persuaso di potersene proporre come recensore”.

    (da Pericalypsis, in Vuoto assoluto di Stanisław Lem, Editori Riuniti, 1990)

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  2. Ignoravo del tutto questo testo e l'ho quasi citato alla lettera! Grazie per la Segnalazione, Popinga!

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  3. Letto anch'io. Tutto. E la tua recensione da LS è più interessante del tuo post scriptum...direi che Bayard non ha tutti i torti! ;-)
    Loretta

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  4. Certo, non ha tutti i torti. Ma qualcuno sì.

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