«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


domenica 15 settembre 2013

L'ateo e il Papa

Il pallosissimo flirt epistolare, più che altro un grooming, tra "Repubblica" e il Vaticano, ovvero tra Scalfari e Bergoglio, ha fatto una vittima sicura: il concetto di "dialogo", mai strumentalizzato come negli ultimi giorni per scopi puramente e reciprocamente promozionali.
Ora, il nobile concetto di "dialogo" presuppone un confronto alla pari tra sostenitori di punti di vista diversi teoricamente aperti alla possibilità di riconoscere i propri errori, imparare da essi e rimodulare le proprie opinioni. Ma mentre posso benissimo immaginare Scalfari che sul letto di morte chiede i sacramenti, secondo il copione ben noto del vecchio miscredente pentito all'ultimo istante perché non si sa mai, come potrei immaginare un Bergoglio che ammetta la falsità dei fondamenti del proprio credo?
Ciò che rende falso l'uso del concetto di dialogo in un caso come questo è la profonda asimmetria "evolutiva" della situazione. Non c'è solo un sedicente libero pensatore scettico e relativista che scambia lettere pseudofilosofiche con uno che crede nella Verità rivelata (qualunque cosa questo significhi), c'è soprattutto uno in linea di principio disposto a far morire al posto suo le proprie idee e un altro che non può assolutamente farlo, perché le sue idee sono incarnate nell'istituzione che rappresenta e che per definizione è addirittura immortale. Per riprendere una vecchia immagine popperiana, mentre Scalfari è allo stadio di Einstein, Bergoglio è allo stadio dell'ameba, in un senso ben preciso. Scalfari, come Einstein, può staccare da sé le proprie convinzioni e sottoporle al vaglio critico del dialogo pubblico, in uno scontro che teoricamente può portare alla loro morte, ma non a quella del loro portatore (inteso soprattutto come oggetto sociale). Bergoglio, al contrario, come l'ameba, ha le proprie convinzioni incarnate nel proprio "corpo" (ruolo istituzionale e addirittura vestiti), e non può rinunciare ad esse senza rinunciare al proprio "corpo", cioè senza morire come oggetto sociale.
Di che diavolo parla, dunque, Bergoglio, quando parla di "dialogo" con i non credenti? C'è il sospetto fondato che si tratti della solita captatio benevolentiae rivolta al mondo laico compiacente degli atei devoti (in Italia molto popoloso e spesso in affari con la Chiesa), cui "Repubblica" sta facendo da formidabile cassa di risonanza anche per proprio tornaconto (eco mediatica del fatto, pubblicità, dunque soldi).

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