«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


mercoledì 8 aprile 2015

ELOGIO DELLA FALLACIA


Nell’Epicureus (1533), l’ultimo dialogo dei Colloquia, Erasmo da Rotterdam sviluppa un’argomentazione serrata per dimostrare due tesi, una scandalosa e una scandalosissima:
1) i veri epicurei sono i cristiani autentici;
2) il vero Epicuro è Cristo.
Per colmo di ironia, l’assioma di partenza della dimostrazione è preso in prestito non da un filosofo autorevole, ma da un commediografo, cioè da Plauto (Mostellaria, atto III, scena 1, v. 544): «Nil est miserius quam animus hominis conscius» (un passo che, per inciso, dovrebbe far riflettere i filosofi della mente in chiave storica).
Ma, ahimè, la fallacia che inficia tutto il ragionamento si trova già nel primo passo logico, perché il buon Edonio sostiene che l’enunciato “Non c’è niente di più infelice di una cattiva coscienza” implichi quest’altro enunciato: “Non c’è niente di più felice di una coscienza tranquilla” (e da qui è facile arrivare, per via di dottrina, alla conclusione che la coscienza tranquilla, e quindi la massima felicità “epicurea”, te la può dare solo la virtù cristiana).
Insomma, se si analizza a fondo, si vede che Edonio si fa ingannare dal fratello scemo del Modus tollens, cadendo nell’errore della negazione dell’antecedente.
Peccato, resta l’ottima idea dello sgambetto beffardo.

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