«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


giovedì 23 giugno 2016

IL PARADOSSO DI POMPONAZZI

Un omaggio ad Aristotele e Pomponazzi in occasione degli anniversari che li riguardano nel 2016 (2400 anni dalla nascita del filosofo greco e 500 anni dalla pubblicazione del Tractatus de immortalitate animae)

IL PARADOSSO DI POMPONAZZI: UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA (MA) NEOARISTOTELICA

C'è questo passo bellissimo della Fisica apparentemente buttato lì a caso da Aristotele (194b13): «l'uomo e il sole generano l'uomo». Sembra una normale affermazione dell'Aristotele naturalista e tuttavia, molti secoli dopo,  Pietro Pomponazzi la citerà per fondare una modernissima concezione dell'anima (o della mente, come diremmo oggi). Nel § IX.26 del Trattato sull'immortalità dell'anima (1516), infatti, Pomponazzi si appoggia al detto aristotelico per difendere l'idea che l'anima di ciascun individuo sia generata insieme al corpo e non creata a parte, come sosteneva per esempio Tommaso, e in quanto tale, costituendo la forma stessa del corpo, è con esso destinata a dissolversi; la stessa idea, d'altra parte, serviva anche a combattere la teoria averroista dell'unicità e dell'immortalità dell'Intelletto.
In tal modo avviene qualcosa di molto curioso che mette in crisi e in qualche modo arricchisce la nostra idea ormai da senso comune della rivoluzione scientifica. Noi siamo abituati (giustamente) a vedere quest'ultima come un'operazione marcatamente anti-aristotelica sia nel campo astronomico sia in quello fisico. E tuttavia, un secolo prima di Galileo e diversi decenni prima di Copernico, Pomponazzi usò Aristotele, ovvero una rigorosa rilettura soprattutto del De anima, contro le interpretazioni spiritualistiche di Averroè (immortalità e unicità) e Tommaso (immortalità individuale), per compiere una vera e propria rivoluzione "scientifica" nel campo di ciò che oggi chiameremmo psicologia o filosofia della mente, difendendo una teoria straordinariamente vicina per taluni versi sia all'approccio naturalistico e funzionalistico del dualismo delle proprietà sia alla cosiddetta embodied cognition (l'anima "gira" per natura su un supporto materale, è neutrale rispetto al sostrato ed è una forma incarnata e diffusa in tutto il corpo), cioè a due delle correnti più influenti delle odierne scienze cognitive.
Diciamo "scientifica" questa rivoluzione con le dovute cautele, perché il testo di Pomponazzi ha degli aspetti paradossali, e anche se è infarcito di un lessico scolastico piuttosto stantio, tuttavia sembra molto più avanti rispetto alla futura soluzione cartesana del problema mente-corpo nei termini del ben noto dualismo delle sostanze. La sua strategia retorica è all'insegna della massima cautela e della sottile dissimulazione: una rilettura di Aristotele priva delle sovrastrutture platonizzanti e teologizzanti di Averroè e Tommaso consente di sostenere l'intuizione adulta comune che la vita mentale sia strettamente legata a quella del corpo, nel senso che essa, benché non coincida con questo o con una sua parte (come ad esempio succede alla vista, che è confinata nell'occhio), ne ha assoluto bisogno perché tutta la sua attività si fonda su ciò che esso le fornisce sotto forma di rappresentazioni sensoriali, base di ogni conoscenza astratta. Eppure, egli aggiunge per prudenza soprattutto nelle ultime pagine, quello che dicono Tommaso e la Chiesa, cioè che l'anima è individuale e immortale, deve essere vero per fede; viceversa, Averroè, alla luce anche di Tommaso, è sicuramente in errore e fa dire ad Aristotele ciò che nel De anima è impossibile trovare. Insomma, contro il filosofo musulmano le critiche sono conclusive, mentre contro il teologo cristiano le critiche basate su una lettura razionale del testo aristotelico vengono respinte dalla verità rivelata e accettata per fede (prudenza vana, com'è noto, perché Pomponazzi e la sua opera incontreranno subito le ire delle autorità ecclesiastiche soprattutto a Venezia e a Bologna).

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