«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


domenica 25 dicembre 2011

Cui bono? La commovente storia del topo che sfidò il gatto





20 luglio 2010
Spesso il modello evoluzionista sembra imbattersi in rompicapo tremendi, che hanno tutta l'aria di essere degli enigmi, se non addirittura dei controesempi, per la felicità degli avversari di Darwin. Ma poi si scopre che la spiegazione vera è una conferma sconvolgente della teoria, che addirittura modifica la stessa percezione delle possibili ragioni della nostra esistenza come specie.

Vi propongo uno di questi 'enigmi', invitandovi a fornire un modello di spiegazione evoluzionista, che all'apparenza sembra davvero impossibile da trovare (il problema è guardare nella direzione giusta). Non essendo un biologo, so la risposta da lettore dilettante. Quello che mi interessa di più è il lavoro cognitivo di fronte a un problema nel quadro di uno schema esplicativo già disponibile (in questo caso l'evoluzionismo). Poi fornirò le opportune indicazioni bibliografiche per chi volesse approfondire.

Allora, vengono osservati dei topi che mostrano un atteggiamento assurdamente temerario di fronte ai gatti, rischiando seriamente la vita.
Domanda: perché si comportano così? Quale beneficio evolutivo possono mai trarre da un comportamento che mette così a rischio le loro probabilità di riprodursi?

Prima di continuare a leggere vi invito ad abbozzare una risposta evoluzionistica, che certamente faticherete a trovare. La cosa straordinaria è che la risposta c'è ed è univoca, chiara e darwinianissima. Non c'è bisogno di un dio della biogenetica, ma di umanissimi ricercatori forniti di laboratori d'analisi in cui esaminare con cura topi apparentemente spacconi. In questo caso, certamente, anche l'uomo trae un vantaggio, che però non riguarda la scoperta di una "terapia genica per il trattamento delle fobie". Si tratta di un vantaggio conoscitivo rivelatore e amaro, nel senso che tale conoscenza comporta un ridimensionamento della sua arroganza metafisica. Scoprendo questo genere di cose, insomma, l'uomo si rende conto, tra l'altro, che lui ha una funzione biologica molto diversa da quella voluta dai miti religiosi o dai sogni megalomani di molti filosofi. Le implicazioni di questa risposta (e di varie altre risposte analoghe) danno ragione all'idea dell'uomo, e della vita in genere, che hanno pensatori come Cioran e il suo amico Ceronetti.

Le soluzioni solitamente tentate tradiscono una cosa diffusissima anche nella comunità scientifica (oltre che naturalmente in quella religiosa e in quella filosofica, dove praticamente regna sovrana): ovvero quella che si potrebbe chiamare l'assunzione dogmatica e inconscia di una ontologia da senso comune. Voi continuate a pensare che il problema riguardi gatti e topi: ma in questo scenario, Tom e Jerry sono meno che delle comparse. I veri protagonisti sono altri.

Dunque, è il momento di rivelare l'arcano, che, come detto, è rigorosamente darwiniano. Come accennavo, l'insegnamento che io traggo da questo esempio (uno tra i moltissimi) riguarda il modo in cui il neo-darwiniasmo ci invita a guardare alle forme viventi e al loro posto nel mondo. Vi accorgerete che avevo già abbondantemente suggerito la direzione dell'analisi del problema disseminando vari indizi, che però sono rimasti nell'ombra proprio perché abbiamo la irrefrenabile tendenza a dare per scontata l'ontologia del senso comune, secondo la quale il mondo è popolato di cose a nostra misura. Noi sappiamo, per averlo studiato a scuola, che esiste il mondo dei batteri e degli altri microrganismi, ma ci viene molto difficile prenderlo in considerazione in contesti che non siano specialistici, anche quando dobbiamo pensare in termini scientifici (in questo caso evoluzionistici) una situazione problematica relativa a esseri viventi familiari (come il gatto e il topo). In altre parole, siamo portati a semplificare il mondo sovrapponendovi quello più familiare, fatto di oggetti di media grandezza. La cosa interessante è che, conosciuta la risposta, essa ci sembra tremendamente ovvia sul piano scientifico, anche se lontanissima dal senso comune.

Riporto per intero il passo di Daniel Dennett (filosofo della mente darwinista, nonché amico di Richard Dawkins, il teorico dei geni e dei memi egoisti) in cui si trova il 'caso', peraltro citato en passant (Dennett sta parlando del significato evolutivo della religione come memeplesso che vive egoisticamente da parassita nella mente umana, spingendo per la propria fitness le persone a fare volentieri cose - come viaggi massacranti, donazioni e persino guerre - che altrimenti non farebbero o farebbero con estrema riluttanza):

Dovremmo preparare una rete molto estesa quando andiamo in cerca dei beneficiari, perché sono spesso elusivi. Supponete di imbattervi in topi che stranamente rischiano la vita in presenza di qualche gatto e di porvi la domanda: cui bono? Che beneficio traggono i topi da un comportamento tanto temerario? Cercano di mettersi in mostra per far colpo su potenziali compagni o si tratta di un comportamento che aumenta le loro chance di accedere a preziose fonti di cibo? Sembrano domande corrette, ma forse state cercando il beneficiario sbagliato. (...) esiste un parassita, il Toxoplasma gondii, che può vivere in molti mammiferi, ma per riprodursi ha bisogno di raggiungere lo stomaco di un gatto e quando infetta un ratto ha la vantaggiosa proprietà di interferire col suo sistema nervoso, rendendo il ratto iperattivo e relativamente intrepido - e dunque molto più esposto al rischio di essere mangiato da qualche gatto nelle vicinanze! Cui bono? A trarne beneficio non è il ratto infettato, ma la fitness del Toxoplasma gondii, cioè la sua capacità di adattamento e il suo successo riproduttivo (Zimmer, 2000). (Daniel C. Dennett, Rompere l'incantesimo. La religione come fenomeno naturale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007, pp. 68-69. La fonte citata da Dennett è: C. Zimmer, "Parasites make scaredy-rats foolhardy", in «Science», 28/7/2000, pp. 525-526).

Un altro parassita caro a Dennett è il Dicrocoelium dendriticum (oltre al citato luogo di Rompere l'incantesimo, si veda anche il primo paragrafo del sesto capitolo de L'evoluzione della libertà, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004, in part. pp. 231-232), che fa impazzire le formiche 'facendole' salire 'inutilmente' in cima ai fili d'erba - dove non c'è cibo - e aumentando così la probabilità che esse finiscano nello stomaco di una mucca o di una pecora, dove il parassita potrà completare il suo ciclo riproduttivo.

Chi volesse avere qualche ulteriore ragguaglio sul Toxoplasma gondii (che attacca anche l'uomo) può consultare la voce relativa su Wikipedia.

Ebbene? Visto che anche l'uomo è il paradiso per colonie di parassiti biologici (e culturali, come le ideologie e le religioni), non è che, invece di essere figli di Dio o pastori dell'Essere, siamo in buona parte il prodotto adattivo e lussuosissimo di miriadi di microrganismi che lavorano come "orologiai ciechi"? Altro che scimmie: se fossimo nient'altro che scimmie evolute, come vuole il darwinismo popolare, sarebbe già un onore e potremmo sognare di essere una corda tesa verso l'oltreuomo, come diceva quell'ottimista inguaribile di Nietzsche. Ma anche questa è una pia illusione, a quanto pare.

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