«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


lunedì 26 dicembre 2011

Leopold Bloom, Molly e la metempsicosi




C’è un luogo dell’Ulisse di Joyce che mi ha colpito sin dalla prima volta che l’ho letto (1989) e che ora mi torna in mente ossessivamente in relazione alla questione del carattere autoritario e quasi sempre misogino di certe produzioni culturali maschili, in particolare quelle religiose. Siamo nel quarto capitolo (“Calipso: la colazione”) ed entrano in scena Leopold e Molly. Leopold, lasciati sul fuoco i rognoni in padella, porta la colazione a letto alla moglie, di cui entrando nota “le grosse morbide tette, pendule entro la camicia da notte come le mammelle d’una capra”. A un certo punto Molly gli chiede di porgerle il libro che stava leggendo e che le era caduto sotto il letto:

- Fa’ un po’ vedere, disse lei. Ci ho messo il segno. C’è una parola che ti volevo chiedere.
Mandò giù un sorso di tè dalla tazza che teneva non dalla parte del manico e, pulitesi in fretta le punte delle dita sulla coperta, cominciò a scorrere il testo con una forcina finché non trovò la parola. (…)
- Ecco, disse lei, che cosa vuol dire?
Egli si chinò e lesse accanto all’unghia lucida del pollice.
- Metempsicosi?
- Sì. Come lo chiamano in famiglia?
- Metempsicosi, disse, aggrottando i sopraccigli. È greco: viene dal greco. Vuol dire la trasmigrazione delle anime.
- Oh, sorbe! disse lei. Diccelo in parole povere. (…)
Sfogliò a ritroso le pagine.
- Metempsicosi, disse, è come la chiamavano gli antichi Greci. Allora credevano che ci si potesse trasformare in animale o in albero, per esempio. Quelle che loro chiamavano ninfe, per esempio.
Il cucchiaino cessò di mescolare lo zucchero. Lei guardò fisso davanti a sé, inalando per le narici inarcate.
- C’è odor di bruciato, disse. Hai lasciato qualcosa sul fuoco?
- Il rognone! gridò lui subito.
[ed. CDE 1987, pp. 71-72; oppure ed. Mondadori 2000, pp. 64-65]

Al di là dell'apparente maschilismo becero della scena (la donna-capra ignorante come una capra, laddove Bloom è dotato di una decente cultura classica minima), mi sembra che qui la donna sia invece valorizzata, tra le righe, nella misura in cui rappresenta la fertilità (Joyce chiamava “Gea Tellus” la sua Molly Bloom) e l’infedele fedeltà alla terra e ai valori concreti della vita, di contro alle vuote forme culturali prodotte dall’homo symbolicus occidentale, di cui Leopold Bloom è l’estremo epigono e lo sterile simulacro. Non è un caso, infatti, che “metempsicosi”, parola difficile e assolutamente fuori dalla portata “prospettica” di una donna pratica come Molly, rimandi a una antichissima e tipica dottrina settaria e “maschilista” - visto che riduce drasticamente il significato biologico della donna relegandola al ruolo idraulico di tubatura di passaggio per anime vorticanti nel ciclo delle reincarnazioni - di origine orfica, poi ripresa in epoca presocratica dai pitagorici, i padri di ogni modello di “società chiusa” maschilista, logocentrica e sessuofoba (appena mitigata dalla non esclusione delle donne), significativamente seguiti anche in questo da Platone, forse il più misogino dei filosofi. Essa rappresenta il concentrato di tutte le paure dell’uomo relative alla morte e alla sua fondamentale estraneità al processo riproduttivo, nonché di tutti i tentativi per esorcizzare tali paure tramite miti religiosi creati dal suo logos fantasioso, che soprattutto nel Dio biblico è organo di creazione contrapposto a quello naturale della donna, visto come secondario e inferiore. In tal senso, io ritengo che nel luogo dell’Ulisse che ho riportato Joyce stia semplicemente rappresentando proprio l’incommensurabilità culturale tra la prospettiva femminile, giustamente ignara di certi prodotti culturali maschili - peraltro posti a fondamento del loro autoritarismo religioso e ideologico - e ancorata al buon senso delle cose tangibili e vive, e quella maschile, ridotta con Leopold - l’ultimo uomo della cultura occidentale, impegnato nella penosa ricerca, ancora una volta maschilista, di un figlio maschio adottivo (in sostituzione della figlia quindicenne Milly), che troverà in Stephen Dedalus, e quindi giustamente punito dalla moglie col tradimento - alla gestione erudita di un sapere astratto, sterile e depositato nelle morte definizioni da dizionario. Tale, infatti, con qualche aggiunta di alcune nozioni da "enciclopedia", è la definizione di “metempsicosi” che Leopold fornisce a Molly, la quale registra l'informazione con sublime e dissacrante indifferenza.

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