«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


lunedì 16 gennaio 2012

La sciocchezza di Vattimo su quella che crede una sciocchezza di Popper



Sono davvero perplesso per l'autentica, irredimibile castroneria che leggo in Gianni Vattimo (con Piergiorgio Paterlini), Non essere Dio. Un'autobiografia a quattro mani, Aliberti Editore 2006, p. 184: «Popper (...) ha sempre continuato a pensare che una smentita ci avvicinasse alla verità, una vera sciocchezza: dal fatto che un'ipotesi è sbagliata non cavi proprio nulla».
Niente di più errato. Dalla smentita di un'ipotesi si ricavano preziosi insegnamenti sulle strade da evitare e su eventuali formulazioni errate di un problema, nonché sugli aspetti della realtà che resistono ai nostri tentativi di spiegazione. Come diceva più di un secolo fa quel geniale epistemologo - anch'egli legato a Torino - che fu Giovanni Vailati (che Gentile e gli altri nemici della conoscenza scientifica come Vattimo hanno contribuito e contribuiscono più o meno volontariamente a tenere nell'oblio), «ogni errore ci indica uno scoglio da evitare mentre non ogni scoperta ci indica una via da seguire» (Sull’importanza delle ricerche relative alla storia delle scienze, 1897, in G. Vailati, Il metodo della filosofia, Laterza 1957, p. 43). Ma si tratta di un'idea ancora più antica, e volendo saltare il ben noto aforisma di Oscar Wilde su esperienza ed errore, che peraltro costituisce una delle epigrafi di Congetture e confutazioni, si può arrivare per esempio a questa bella osservazione di Condillac: «L'esperienza del filosofo, come quella del nocchiero, è la conoscenza degli scogli in cui gli altri si sono arenati e, senza questa conoscenza, non v'è bussola che possa guidarlo» (Introduzione al Saggio sull'origine delle conoscenze umane, 1746, ed. UTET). Tuttavia, nessuno meglio di Popper ha saputo spiegare nel dettaglio le basi logiche (possiamo solo falsificare, mai verificare, se si tratta di ipotesi sulla realtà e non, ad esempio, di dimostrazioni matematiche) ed epistemologiche (conosciamo per anticipazioni teoriche della nostra mente da sottoporre a controllo, mai per istruzioni induttive non interpretate provenienti dalla realtà) dell'idea che possiamo imparare solo dai nostri errori, come singoli e come specie.
Tra l'altro, noi possiamo sapere (ma non è semplice: Popper non è un falsificazionista ingenuo) solo se un'ipotesi è falsa, ma non potremo mai sapere se un'ipotesi è vera, per il semplice fatto che qualsiasi teoria generale, contenendo almeno un asserto universale, si estende su un dominio potenzialmente infinito sul quale effettua una infinità di predizioni, cioè implica infiniti enunciati particolari. Per inciso, questa idea fondamentale è stata fatta propria esplicitamente anche da "quel tomista incallito" di Umberto Eco, come Vattimo chiama assurdamente il suo "vecchio amico", "compagno anziano" e "vice-maestro" (p. 145) a pagina 114: estesa all'ermeneutica, essa è alla base de I limiti dell'interpretazione (Bompiani 1990).
Per verificare una teoria, dovremmo provare tutte le sue conseguenze, e questo è impossibile (è la storia del famoso cigno nero che può saltar fuori da un momento all'altro a smentire l'ipotesi che tutti i cigni siano bianchi). Dunque, non sapremo mai se abbiamo una (o la) teoria vera tra le mani. D'altra parte, essendo una la teoria vera, ed essendo infinite quelle possibili intorno a un dato oggetto di indagine, è praticamente certo che tutte le teorie con cui abbiamo a che fare sono false (questa sorprendente conclusione è dimostrata logicamente nell'Appendice *VII della Logica della scoperta scientifica). Su queste basi, Popper poteva fornire addirittura una soluzione peculiare al problema tipicamente metafisico dell’esistenza o meno della realtà esterna: se una nostra congettura «è falsa, essa contraddice qualche stato di cose reale (descritto dalla sua negazione vera). Inoltre, se controlliamo detta congettura, e riusciamo a falsificarla, constatiamo che c’era una realtà, qualcosa con cui essa poteva entrare in conflitto. Le falsificazioni mostrano così i punti in cui, per così dire, abbiamo toccato la realtà. (...) Le teorie sono nostre invenzioni, idee nostre; esse non ci vengono imposte, sono strumenti di pensiero da noi stessi costruiti: ciò è stato visto chiaramente dagli idealisti. Ma alcune di queste teorie possono risultare in conflitto con la realtà, e quando ciò accade constatiamo che vi è una realtà, che esiste qualcosa a ricordarci che le nostre idee possono essere sbagliate. Ecco perché il realista ha ragione» (Congetture e confutazioni, Il Mulino 1992, cap. 3, § 6, p. 201 e p. 202)
Malgrado tutto ciò, l'autobiografia di Vattimo resta un libro meritevole di essere letto, perché è un bel documento umano e intellettuale, il racconto avvincente, ora tenero e lirico ora ironico e sferzante, di una vita dedicata all'esercizio del pensiero.

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