«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


lunedì 16 gennaio 2012

Note sparse su mente, religione, educazione e scuola





Da un po' di tempo, sulla scorta di Daniel Dennett e Richard Dawkins, rimugino sulla tesi del presunto carattere innato del sentimento religioso. Penso che sia l'ora di cominciare a fare qualcosa per smuovere le basi di questo luogo comune, a partire da certi automatismi del pensiero e del linguaggio che ci fregano alle spalle. Cosa c'è di più corretto del punto di vista di chi riconosce al sentimento religioso una sua intrinseca appartenenza all’essere umano? Apparentemente nulla. Cerchiamo però di guardarlo più da vicino. Com'è che abbiamo imparato a ritenere che la credenza religiosa in genere, espressione di quella che viene chiamata "dimensione religiosa", sia una proprietà profonda, fondamentale, innata dell'essere umano? Se fosse vera, questa tesi veicolerebbe una formidabile conoscenza sull'uomo: essa postula l'esistenza di una cosa universale come "l'essere umano" e dice che una delle sue "espressioni" è la credenza religiosa. Ma siamo sicuri che sia vera? Quali evidenze abbiamo in suo favore? Il fatto che ci siano state e ci siano le religioni? Noi siamo abituati a sostenere una tesi del genere sostanzialmente perché da molti secoli (almeno a partire dai greci) ce la ripetono religiosi e/o filosofi fortemente interessati a sostenere una qualche religione (come Platone). Questa tesi, dunque, nasce in un contesto di conoscenze sulla cosiddetta "psiche" (cioè la mente umana) estremamente rudimentali e in gran parte mitiche. Ma abbiamo riflettuto sulla sua validità alla luce delle più recenti scoperte nel campo della biologia, dell'antropologia culturale, della psicologia e delle neuroscienze, ottimamente sintetizzate in un bellissimo libro come Nati per credere. Perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin, di V. Girotto, T. Pievani e G. Vallortigara (Codice Edizioni 2008)? Certamente no, perché continuiamo a ripeterla in una forma che potremmo trovare identica in Aristotele, in Agostino e in Padre Pio.
Un problema che si comincia a porre dal punto di vista evolutivo è il seguente: posto che è a tutti noto che i bambini sono sensibili alle favole, perché ciò avviene? Un approccio recente cerca la risposta nel quadro più generale dell'evoluzione dei sistemi di controllo animale, dal sistema di allarme del mollusco al cervello umano, e considera la ben nota disposizione a credere alle favole come uno dei sottoprodotti del cosiddetto HADD, "Hyperactive agent detection device", di Barrett ("Sistema di riconoscimento di agenti iperattivo": quello che, per intenderci, induce un "falso positivo" in un cane spingendolo ad abbaiare anche quando il rumore sentito non rappresenta un pericolo per la sua sicurezza), dell'"atteggiamento intenzionale" di Dennett e della generale tendenza ad essere attratti da configurazioni di senso significative e facili da ricordare per le limitate capacità della nostra memoria. Tutto questo potrebbe farci capire bene un giorno che le favole non sono ineluttabili per la crescita dei bambini e che loro ne hanno bisogno semplicemente perché non siamo ancora in grado di sostituirle con qualcosa di meglio.
Ecco perché considero molto importante la recente "proposta" di Dennett sull'educazione religiosa dei bambini e sul ruolo che la scuola dovrebbe avere al riguardo. La proposta era già presente in Rompere l'incantesimo (2006) ed è stata rilanciata successivamente da Dennett nel suo intervento a una tavola rotonda on line organizzata da Paolo Flores D'Arcais (la traduzione italiana degli interventi di tale tavola rotonda si trova nel supplemento a Micromega intitolato "Per una riscossa laica", uscito nel dicembre 2007).
La domanda-chiave è: dove finisce la libertà dei genitori credenti di ingannare i propri figli con fandonie religiose (a cominciare da Gesù bambino), inquinando la loro mente con virus culturali deleteri per uno sviluppo intellettuale aperto e critico?
La risposta di Dennett è che la scuola si dovrebbe assumere il compito di fornire ai giovani le informazioni più ampie possibili sulle varie religioni, sui loro pregi, sui loro difetti e soprattutto sul loro fondamento nel modo biologicamente determinato di funzionare della nostra mente (a cominciare dal dispositivo evolutivamente utilissimo che egli stesso ha chiamato "atteggiamento intenzionale" e che nel caso delle credenze religiose funziona in maniera inappropriata e un po' infantile nel suo automatismo genetico).
Una delle cose fondamentali di cui tratta il libro di Dennett è proprio il sistema di protezione di cui le varie fedi istituzionalizzate si sono rivestite per sopravvivere e continuare a gestire le menti dei fedeli. Per esempio, il richiamo al "rispetto" della fede del credente è una tipica strategia retorica che sposta la questione su un altro piano e impedisce di "rompere l'incantesimo". I fedeli, quelli che manifestano una fede non strettamente osservante e persino certi laici intrisi della cosiddetta etica del rispetto, vengono addestrati a impegnarsi più nel compito di impedire in qualche modo agli altri di esaminare criticamente le basi cognitive, storiche e culturali della fede che in quello di sostenere con argomenti positivi gli articoli della fede. In tal modo, sfruttando una equivoca accezione della nozione di "tolleranza", le fedi godono di una immunità totale, e i contenuti su cui si reggono diventano così inaccessibili che persino i custodi non sanno più esattamente cosa custodiscono. In quasi ogni dibattito sul tema questa strategia si vede in atto: non si risponde ai singoli dati e alle singole argomentazioni, non si esplicita in cosa esattamente si crede quando ci si dichiara credenti in Dio, ma si continua a insistere sul 'rispetto', sul vissuto privato, tutte cose retoricamente efficacissime ma sostanzialmente fuorvianti.
Non ci si deve mai stancare di rilevare quanto sia debole la posizione di chi dice di credere e di meritare rispetto per il fatto stesso di credere. Ma in cosa crede chi crede? Quando il credente esplicita alcuni articoli di fede, si notano alcune cose imbarazzanti:
1) ciò in cui crede per fede è in generale il prodotto culturale di elaborazioni altrui piuttosto complesse e in qualche modo "razionali", ancorché infondate. Quindi il fedele ha una fede illogica non tanto in Dio ma in qualcuno che ha costruito per lui il concetto di Dio, che è frutto di un'attività pur sempre logica.
2) le credenze proferite hanno l'aspetto di slogan apparentemente impressionanti ma fondamentalmente vuoti o, nella migliore delle ipotesi, vaghi. Cosa si intende quando si dice "la vita non è un caso"? Di quale vita si sta parlando? Della vita sulla terra in generale o della vita umana? La nascita di un essere umano non è certamente un caso, è ovvio. E allora? La vita sulla terra sembra intrisa di eventi casuali, ma se risultasse falso che essa è nata per caso, questa sarebbe una scoperta scientifica: come si potrebbe mai stabilire per fede che non è nata per caso? Accettare atti di fede del genere ci porterebbe a rivendicare il diritto di sostenere "per fede" qualsiasi fesseria ci passi per la testa e a quel punto la discussione razionale andrebbe a rotoli.
Quando poi si legge (come mi è capitato di leggere dialogando in un forum con una collega di religione) che "Lo Spirito è energia, Dio non è corpo, è energia (amore). L'amore è energia. Giusto?" si ha l'impressione che per alcune persone l'utilizzo di formule assolute sia una garanzia di profondità concettuale. In realtà siamo di fronte a frasi del tutto arbitrarie e insensate. Di che "energia" si sta parlando? Di quella di cui parlano i fisici e i chimici? Ma in tal caso è del tutto ovvio che l'amore (qualunque cosa sia) è energia. Anche l'odio lo è. E lo è anche la cacca. Che lo siano persino "Dio" e "Lo Spirito" (concetti peraltro equivoci) lo si può concedere tranquillamente, perché sarebbero tautologicamente energia qualunque cosa fossero. Anche il flatus vocis, infatti, è energia.

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