«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


sabato 24 agosto 2013

Harry Quebert e gli altri


 

I detrattori de La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker (2012, Bompiani 2013), che in rete non sembrano meno dei lettori entusiasti, hanno dalla loro parte delle ragioni precise e non da poco. Non è difficile, infatti, terminata la lettura del libro, ripercorrere con la mente i suoi numerosi difetti: da quelli segnalati un po' da tutti, come la prolissità generale e la sciatteria e sdolcinatezza di diversi dialoghi amorosi, nonché l'artificiosità caricaturale e improbabilissima di alcuni personaggi (primo tra tutti quello della madre del narratore, la cui maschera sgradevole è però compensata da quelle riuscitissime dell'editore Barnaski e del sergente Gahalowood), a quelli più idiosincratici, come quando si riportano dialoghi senza testimoni di personaggi che stanno per essere assassinati, in un romanzo per il resto condotto su ricostruzioni dell'io narrante basate su documenti, testimonianze, ecc. (personalmente non tollero un tale scarto improvviso verso il punto di vista del narratore onnisciente, anche se la circostanza precisa cui alludo, p. 745 e ss., potrebbe essere in qualche modo giustificata).
Tuttavia, considerato anche che stiamo parlando della macchina narrativa geniale e ambiziosissima ideata da un autore nato nel 1985, credo sia più interessante celebrare gli aspetti innegabilmente positivi del romanzo. Un volumone di oltre 770 pagine che strega e tiene incollato a sé il lettore (leggendolo in tre giorni, 200 + 200 + 370, ho raggiunto ritmi e velocità che non ricordavo dai tempi dell'adolescenza, quando leggevo L'adolescente di Dostoevskij in due sedute), merita rispetto. La storia, che parte come un caso semplice e via via si allarga e complica in maniera vertiginosa, con improvvisi e continui capovolgimenti che disorientano il lettore e fino alla fine frustrano tutte le sue congetture sulla verità dei fatti, fa del romanzo uno giallo di rara efficacia, resa ancora più intrigante dal fatto che, al disopra della vicenda godibilissima in sé, il lettore è chiamato a evocare tutta una serie di riferimenti, più o meno espliciti e consapevoli. Sicché è un piacere attraversare al volo le centinaia di pagine e avere nello stesso tempo la sensazione di entrare ed uscire da storie note che la memoria culturale del lettore è stimolata a riportare a galla. E così, qualunque lettore può fare esperienza di intertestualità e riconoscere che il romanzo attraversa situazioni che ricordano chiaramente (fin quasi alla spudoratezza) schemi classici: da Lolita a Psycho, da Cyrano addirittura all'Esorcista, per tacere di Notre-Dame, cioè dello schema Quasimodo/Esmeralda... Ma ai riferimenti culturali notissimi cui l'autore ammicca sicuramente vanno aggiunti quelli che ciascun lettore può inventare sulla base della propria esperienza personale. E così, per quanto mi riguarda, mi sono divertito a leggere il romanzo di volta in volta con occhiali diversi, a seconda delle reazioni associative scatenate nella mia memoria dgli stimoli testuali. Per cui, ora rivedevo nella coppia Marcus Goldman/Harry Quebert una riedizione della coppia Nathan Zuckerman/Coleman Silk de La macchia umana di Philip Roth; ora l'indagine a ritroso su un caso di oltre trent'anni prima, con al centro una bellissima ragazzina bionda, mi sembrava ripetere più di una situazione di Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson, mentre la perturbante commistione di macabro e fascinazione sessuale nella vittima che ossessiona tutti (detective e lettore compresi) mi riportava al mondo morboso della Dalia nera di James Ellroy; per non dire delle riflessioni metanarrative (a volte piuttosto ingenue, per la verità) e del caso del brutale assassinio di una ragazzina vestita di rosso, che alludono abbastanza chiaramente a La promessa di Friedrich Dürrenmatt (peraltro svizzero come Dicker), anche se qui le riflessioni riguardano la stessa logica del giallo, piuttosto che la generica stesura di un romanzo avvincente e di successo.
Il lettore italiano, infine, non può non pensare al caso di Avetrana, perché spesso gli sembra di rivedere Sara Scazzi, Sabrina, Cosima e Michele Misseri sotto mentite spoglie. E qui, però, gli dovrebbe venire voglia di schiaffeggiarsi da solo e di maledire Bruno Vespa.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.