«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


domenica 22 gennaio 2017

IL CARNEADE SICULO DI ARISTOTELE

Prima pagina della Metafisica nella classica edizione
italiana Rusconi 1993 curata da G. Reale.
C'è un dettaglio nella prima pagina della Metafisica che mi ha sempre colpito. A un certo punto Aristotele si appoggia all'opinione di un tale Polo sul rapporto tra arte ed esperienza, e si tratta del primo nome in assoluto che compare in un testo che, per il pensiero occidentale, equivale più o meno a ciò che per la storia umana in generale ha significato l'invenzione della ruota.
Ma chi era costui? La cosa più interessante, credo, non è tanto il fatto che si tratti di un retore minore discepolo di Gorgia e originario di Agrigento. Certo, anche questo è significativo: il primo autore citato da Aristotele nel primo dei suoi fondamentali trattatelli sulla "filosofia prima" - che tra l'altro contiene la definizione pressoché definitiva del "sapere" come scienza delle cause e dei principi primi, nonché la prima sintetica storia ragionata della filosofia che sia stata scritta - è un oscuro sofista siciliano che oggi ci è noto quasi esclusivamente attraverso Platone, il quale lo cita soprattutto nel
Gorgia, in cui è tra i personaggi che prendono la parola, e poi fuggevolmente nel Fedro e nel Teagete (Aristotele non lo citerà più, né nella Metafisica né nelle altre  sue opere pervenuteci). Tuttavia, quello che mi colpisce davvero è il modo in cui Aristotele lo evoca, perché è qui che avvertiamo maggiormente la distanza abissale di un testo che pure, per altri versi, è ancora attualissimo. Aristotele sta parlando come un epistemologo, uno scienziato cognitivo, un etologo e un entomologo di oggi, e dice cose che potremmo ancora sottoscrivere quasi interamente (sull'udito delle api, per esempio, non c'è ancora pieno accordo, anche se ormai è in genere riconosciuto e collocato nelle antenne). Eppure all'improvviso egli tira fuori una fonte che ci rivela il suo pubblico  in realtà ristrettissimo, perché è come se il testo fosse rivolto ai quattro amici che avevano completa familiarità con i testi del maestro Platone. Quello che egli dice su Polo, infatti, come ci informano di solito le note ad locum, sembra prelevato direttamente da una battuta messagli in bocca da Platone nel Gorgia (448c), a meno che non si pensi (ma mi pare poco plausibile) che sia Aristotele che Platone facessero riferimento, indipendentemente l'uno dall'altro, a un detto di Polo così celebre da essere passato in proverbio, al punto da non aver più bisogno di essere accompagnato dalla menzione della collocazione precisa nell'opera dell'autore. In tal senso la citazione ha qualcosa di borgesiano e inquietante, perché, per quanto ne sappiamo, Polo, i suoi detti e le sue orazioni (cfr. Fedro 267b-c) potrebbero anche essere stati sognati da Platone e Aristotele comincia la Metafisica chiamando in causa un personaggio finzionale.
Insomma, quello che mi colpisce è proprio questa tensione tra particolare e universale, tra l'occasione momentanea e gli eoni della nostra storia, tra un punto preciso dello spaziotempo e la storia globale del pensiero: da un lato è come se stessimo leggendo la corrispondenza privata ("esoterica") di un club esclusivo di alcuni amici che conoscevano a memoria (o quasi) i dialoghi di Platone, o se non altro il Gorgia, dall'altro, invece, non abbiamo alcuna difficoltà a immaginare che Aristotele stia parlando proprio a noi, lettori del XXI secolo, nonché al senso comune di buona parte dell'umanità vissuta tra noi e lui.



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