«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


venerdì 24 febbraio 2012

La carcassa e i parassiti



Lo spaventoso potere del Vaticano in Rai, ben messo in luce da Travaglio, è naturalmente un sottoprodotto del quasi totale asservimento della classe politica italiana alle gerarchie ecclesiastiche. Ora, su quelli che in Rai e in Parlamento sono dichiaratamente cattolici c'è poco da dire: lo spirito di servitù in loro è o spontaneo o indotto, ed è comprensibile. Chi riconosce il potere della Chiesa al postutto sarà più fedele ad essa che allo Stato, perché è la stessa dottrina ad insegnarglielo. In tal senso la differenza tra i vari Monti, Casini, Binetti, Bindi e compagnia bella sta solo nel punto esatto in cui abbassano le corna alla voce del padrone della loro coscienza: chi al primo sussurro, come il tipo Binetti o Casini (i quali sono persino dichiaratamente portavoce degli interessi del Vaticano in Parlamento) e chi al richiamo verbale scandito in modo forte e chiaro, come il tipo Bindi o Monti. Costoro sono da considerarsi perduti per la causa della laicità delle istituzioni. Invece, quelli che hanno la responsabilità più grave per lo stato delle cose, che si configura come un regime di privilegi politici ed economici per la Chiesa che non ha eguali in Occidente, sono gli esponenti della classe politica e del mondo intellettuale che, pur facendo mostra di laicismo, se non addirittura di ateismo, nel tempo stesso mostrano grande rispetto per le gerarchie ecclesiastiche e per il mondo cattolico in genere, sulla base di un comodo principio di tolleranza sbandierato solo perché fa fare bella figura e consente di non inimicarsi certi potenti (molti politici ex-comunisti e un tipo come Cacciari sono esempi paradigmatici). In tal modo il Vaticano gode sia dei servizi diretti del personale a libro paga in Parlamento e in altre istituzioni sia dell'"amicizia" della maggior parte dei, diciamo così, non religiosi, ottenendo il via libera per ridurre l'Italia a un pascolo abusivo su cui fare i propri comodi non solo a scrocco ma addirittura guadagnandoci (con l'8x1000, le esenzioni fiscali, ecc.).
Ecco perché ritengo che l'unico modo per cominciare a cambiare questo sistema medievale che ci assimila a certi stati islamici sia quello di esigere dai veri laici che contano nelle istituzioni di uscire dalla compiacenza ipocrita e di cominciare a dire chiaro e pubblicamente quello che non possono non dire in privato alla propria coscienza critica, e cioè che le dottrine religiose sono tutte un cumulo di sciocchezze ottundenti e che i preti, tutti i preti, sono degli impostori e dei parassiti che vivono da sempre alle spalle della carcassa della società.


Post scriptum scritto prima (2007)

La politica e il credere nella credenza
È da poco uscito anche in Italia L’illusione di Dio del famoso biologo inglese Richard Dawkins. Insieme a Rompere l'incantesimo del suo amico americano Daniel Dennett, uno dei massimi filosofi viventi, questo libro costituisce un fantastico dittico, forse il miglior uno-due della storia del pensiero laico moderno. Entrambi i saggi sono usciti in Inghilterra e negli Stati Uniti nel 2006, ma il libro di Dennett è di poco precedente, tant’è vero che Dawkins ha modo di citarlo e discuterlo più volte. Tra le novità più rilevanti di questi due libri epocali, scritti da due scienziati darwinisti come manifesti dell’ateismo filosofico “brillante” (bright) contro l’infondata e ingiustificata popolarità delle varie religioni nel mondo, vi è un’acuta critica di quello che Dennett chiama “credere nella credenza”.

Le idee di Dennett e Dawkins, manco a dirlo, gettano una luce interessante per comprendere la situazione italiana, ormai in caduta libera verso il Medioevo.
Il dichiararsi in qualche modo atei o agnostici e il contestuale omaggiare la capacità altrui di avere una fede religiosa qualsiasi, condito anche con ammissioni di sincera invidia esistenziale, sono oggi la versione politically correct dell’antica e cinica idea della religione come instrumentum regni. Questa idea ha innumerevoli articolazioni, variamente imparentate tra loro, e può albergare nella mente di un tiranno, in quella di un leader politico democratico, in quella degli intellettuali che si definiscono “atei devoti” e in quella dell’uomo mediamente colto e sedicente “tollerante”, oppure nel sistema legale di uno Stato (in Italia si può non andare a scuola di sabato per motivi religiosi e altrove si può essere esonerati dal servizio militare se si dichiara di far parte di una famiglia di quaccheri).
In tutti questi casi si dà importanza al fatto che altri abbiano una fede religiosa (in genere istituzionalizzata), cioè si crede nella credenza altrui. Si pensa, in altre parole, che il fatto che altri abbiano una fede sia una cosa positiva e socialmente auspicabile, per svariati motivi riconducibili al ruolo che si svolge. Un intellettuale che “crede nella credenza”, ad esempio, fa una bella figura sia con le persone che, come lui, si reputano troppo intelligenti per aderire a un sistema di credenze dogmatiche, sia con quelle che vi aderiscono, perché queste ultime gli riconoscono apertura mentale e tolleranza. Ma se già uno è sindaco di un Comune, gli effetti sono diversi. Il credere nella credenza si traduce nel finanziamento con soldi pubblici di parrocchie, sette religiose varie, feste del patrono, ecc., per motivi di bassa propaganda elettorale. Se poi uno è al Governo nazionale, la cosa può assumere proporzioni rilevantissime, perché si può fare in modo che una chiesa si trasformi in uno Stato nello Stato, venga foraggiata con cifre dell’ordine di grandezza di una manovra finanziaria e si trasformi in un alleato potentissimo per il mantenimento del potere.
Il discorso si potrebbe allargare ponendo in questione il concetto di “tolleranza”, spesso usato a sproposito. Per esempio, sarebbe il caso di riflettere sulle conseguenze diversissime, dal punto di vista teorico e pratico, cioè politico, che possono avere due ‘ragioni’ diverse della tolleranza, che di solito vengono confuse o non ben tenute distinte.
Perché mai si dovrebbe essere “tolleranti” con le credenze altrui? Le risposte più sensate sono sostanzialmente due:


1) perché tutto è relativo, e le credenze sono tutte ugualmente “vere” secondo i loro standard interni di verità;


2) perché siamo irrimediabilmente fallibili, e tutte le nostre credenze sono false, anche se non nella stessa misura, sulla base di un ideale regolativo unico di verità.


Questo ci porta alla ipocrita e trita battaglia propagandistica di Ratzinger contro il relativismo. In effetti, Ratzinger non sa, o finge furbescamente di non sapere, che la sua pacchia nel nostro paese dipende proprio dal fatto che una buona fetta dei nostri politici è costituita da prodi credenti nella credenza. In altri termini, lo Stato italiano, grazie alla particolare generazione di politici che si ritrova soprattutto oggi, assume tacitamente e ambiguamente la prima delle due ‘ragioni’ della tolleranza proposte, che altro non è se non una formulazione forte del relativismo culturale. La presunta laicità del nostro Stato, quindi, si fonda sull’assunzione di una dottrina filosofica irrazionale e autocontraddittoria (come è stato mostrato da molti epistemologi), e questo dà il via libera all’agenzia ideologica economicamente più forte sul mercato (la Chiesa) di spadroneggiare e di esercitare un monopolio culturale assoluto. Ratzinger, pertanto, dovrebbe smetterla di condannare il relativismo, se non altro perché è grazie all’irresponsabile ed implicita assunzione di esso da parte della nostra classe politica se lui e i suoi accoliti possono sguazzare nell’oro.
D’altra parte, una nozione di laicità che si fondasse sulla seconda delle ‘ragioni’ della tolleranza che proponevo, non potrebbe mai accordare un’autorevolezza e un prestigio sociale e politico di particolare rilievo ad alcuna agenzia religiosa, e quindi nemmeno a un’agenzia settaria e irrazionale come la Chiesa cattolica.





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