«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


domenica 16 dicembre 2012

Pace, guerra e ipocrisia. Lasciate che i gay vengano a noi


Nel suo famigerato messaggio "di pace" dell'8 dicembre scorso (peraltro pieno di quelle stesse ambiguità concettuali che a un certo punto il testo stigmatizza) Ratzinger costruisce un perfetto esempio di hate speech e di dispositivo retorico subdolo basato su clamorose fallacie logiche e falsità empiriche. Il passo-chiave è questo: 

Anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale.
Questi principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace. (Fonte)

Il contesto (eutanasia, aborto...: temi caldi della contemporaneità) rende del tutto plausibile l'inferenza che Ratzinger si riferisca alle coppie omosessuali, anche se queste non sono citate (in pragmatica del linguaggio Grice la chiama "implicatura conversazionale", del tutto lecita seppur diversa dall'implicazione logica). Però si noti la mossa retorica. Ratzinger dice: guardate che qui non parlo come capo di una setta religiosa che ha i suoi articoli di fede ecc. ecc.; io parlo come filosofo razionalista e come antropologo, infatti vi propongo principi "inscritti nella natura umana, riconoscibili con la ragione" e in quanto tali "comuni a tutta l'umanità" (va da sé che nella "natura umana", qualunque cosa sia e ammesso che qualcuno possa mai conoscerla esaustivamente, con ogni evidenza non è inscritto nulla di tutto ciò). Solo che fa finta di dimenticare il dato ovvio che il matrimonio tra un uomo e una donna è un fatto culturale tra tanti altri e non è niente affatto naturale, come sanno anche i bambini; e inoltre il suo discorso fallace implica logicamente che, per esempio, anche la poligamia nel mondo musulmano è contro natura, cioè, in base alle sue stesse equivalenze semantiche, contro la ragione, la verità, la giustizia e la pace. Ma si guarda bene dal rendere esplicite queste conseguenze logiche e sfrutta l'ambiguità del suo discorso per colpire conversazionalmente e ideologicamente solo il mondo gay, normalmente disarmato e pacifico (anche perché il mondo musulmano è un suo formidabile alleato armato nella battaglia contro l'ateismo, il cosiddetto relativismo, il laicismo e i diritti degli omosessuali), e soprattutto, subito dopo, per minacciare gli Stati democtratici con l'arma dell'obiezione di coscienza dei medici cattolici (il che, tecnicamente, è un vero e proprio attentato alla pace sociale e ai fondamenti dello Stato di diritto). 


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Ma ormai si fa sempre più insistente un sospetto malizioso, che l'esperienza storica e la psicologia rendono tutt'altro che infondato. La questione centrale è: perché la Chiesa di oggi mostra di avercela tanto con gli omosessuali e, soprattutto, perché ce l'ha tanto con qualsiasi ipotesi di regolamentazione giuridica delle coppie gay? Come mai sembra farne una questione di vita o di morte, quando nei secoli passati il tema era tutto sommato marginale? La risposta sembra ormai semplice: perché oggi per la Chiesa questa è una questione di vita o di morte. In che senso?

La fine dei meccanismi sociali e giuridici che un tempo affollavano seminari e conventi e il calo drastico delle vocazioni stanno decimando l'esercito regolare della Chiesa. Come porre rimedio a questo pericolo di estinzione? È ben noto che la Chiesa è stata anche un rifugio per schiere di gay (oltre che di pedofili, che comunque sono una minoranza), non in grado, per le più svariate ragioni, di affrontare e vivere nel secolo il loro orientamento affettivo. In tal senso, la Chiesa ha avuto ambiguamente da un lato la responsabilità maggiore per l'istituzione e il mantenimento di una cultura della discriminazione e dell'odio nei confronti degli omosessuali e dall'altro una sorta di monopolio strutturale per la creazione - attorno a gay e lesbiche timidi e fragili - di un cordone sanitario in grado di proteggerli e assorbirne e consolarne con discrezione le frustrazioni. Ma questo oggi non basta più, perché l'evoluzione dei costuni e della civiltà giuridica ha reso, soprattutto in certi paesi avanzati, il mondo là fuori meno minaccioso e più vivibile per gli omosessuali. Di conseguenza alla Chiesa è rimasta l'ultima fortezza ideologica e politica da cui esercitare nel mondo là fuori quella pressione sociale ed emotiva minima per accogliere in sè (secondo un meccanismo ben noto nella teoria cinetica dei gas) gli omosessuali nel sacerdozio, in mancanza di vere vocazioni: la fortezza della proibizione del matrimonio gay, la cui istituzione generalizzata rischierebbe di creare per gli omosessuali quel tasso di felicità sociale critico oltre il quale diventa impensabile la fuga nel convento e nel seminario per reprimere o vivere nel chiuso la propria affettività omofila.
Una spiegazione di questo tipo oggi più che mai mi sembra cogliere l'aspetto forse decisivo della questione. Altrimenti sarebbe impossibile spiegare le parole apocalittiche usate da Ratzinger contro i matrimoni gay. È davvero una guerra, per loro: cioè, appunto, una questione di vita o di morte.






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