«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


venerdì 11 gennaio 2013

SU BERLUSCONI E LE SCUOLE SERALI




Al di là di tutta la spazzatura sparata e ricevuta da Berlusconi (perché anche Santoro mi è piaciuto poco, avendo imbastito un "Uno contro tutti" da circo), al di là del ridicolo e scorrettissimo argumentum ad hominem della lettera a Travaglio (viene da piangere solo a immaginare lui e Bonaiuti - due uomini di Stato, Cristo - che fanno copia e incolla dalla voce di Wikipedia dedicata al giornalista: roba che dovrebbe screditarli per sempre agli occhi anche dei più sprovveduti), c'è una cosa che rimane della sceneggiata di ieri sera e che non si sottolineerà mai abbastanza: il disprezzo smaccatamente di classe di Berlusconi nei confronti della scuola pubblica. 

Che lui detesti la scuola pubblica, perché nella sua mitomania vi vede un covo di comunisti, è ben noto, lo dice sempre e lo dimostra il fatto di aver nominato Ministro dell'Istruzione una testa vuota come la Gelmini, per puro sfregio del posto che fu di De Sanctis, Croce, Gentile e De Mauro e per fare della scuola pubblica lo zimbello dei ministeri economici. Semmai sorprende il fatto che abbia trovato (e trovi, purtroppo) parecchi elettori tra i docenti e gli studenti delle scuole pubbliche, anche se dovrebbe essere altrettanto noto che pure le vie del masochismo sono infinite. 
Ieri sera tutto questo è tornato plasticamente nell'uso ossessivo che faceva Berlusconi delle varie declinazioni dell'espressione "fare o aver fatto le scuole serali", per dare all'interlocutore dell'ignorante o del soggetto che ha ricevuto un'istruzione approssimativa. Ora, normalmente in questi casi si fa riferimento all'acquisto del titolo di studio presso scuole private, ma Berlusconi non può nominarle in tal senso, per almeno tre buone ragioni:


1) il mondo dei proprietari delle scuole private, con l'indotto che lo accompagna, è una sua riserva elettorale classica, per ovvi motivi;
2) nelle scuole private esclusive hanno studiato i suoi figli;
3) con chi compra davvero i titoli di studio nei diplomifici privati gestiti da delinquenti (come ad esempio i leghisti, alcuni dei quali addirittura sottosegretari e vicepresidenti del Senato) lui è amico stretto, se non altro sul piano elettorale.

E così offende le "scuole serali", soprattutto quelle pubbliche, dove studiano di solito i lavoratori. In tal modo Berlusconi rivela un odio di classe non meno feroce di quello che potrebbe manifestare un operaio marxista-leninista nei suoi confronti. 
Sia chiaro, in quanto borghese e imprenditore che fa studiare i figli nelle scuole steineriane, Berlusconi ha tutto il diritto di disprezzare la scuola pubblica, e quella serale in particolare. Ma si dà il caso che egli sia stato (e si candidi ad essere ancora) Capo del Governo, cioè uno che tra le altre cose dovrebbe avere a cuore il buon funzionamento della scuola pubblica. E se si pensa a come l'ha ridotta, grazie all'opera comandata di ministre come la Moratti e la Gelmini, non gli si può negare una certa lucida coerenza, esattamente quella che manca ai suoi elettori, e sono milioni, che in un modo o nell'altro hanno a che fare con la scuola pubblica. 
Se molte famiglie italiane medie avessero capito anche soltanto questo (lasciando perdere i Mangano, il conflitto d'interessi, l'impero mediatico, la corruzione dei giudici, l'evasione fiscale, i Dell'Utri ecc.), il berlusconismo sarebbe rimasto un episodio elettorale marginale nella storia italiana, sostenuto in Parlamento da un partitino di ricchi e loschi avventurieri ineluttabilmente isolato e minoritario.

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