«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


domenica 20 gennaio 2013

Tre film




Per una serie di circostanze fortunose negli ultimi due giorni ho visto tre dei film più discussi del momento, Django Unchained, La migliore offerta e Cloud Atlas. Tre film tra loro molto diversi che però, del tutto casualmente, sono collegati tra loro da fili sottilissimi: Django e Cloud Atlas hanno scene simili sulla schiavitù negli Stati Uniti della metà del XIX secolo, Django e La migliore offerta sono legati da una certa italianità e soprattutto da Ennio Morricone, mentre La migliore offerta e Cloud Atlas sono legati dall'attore Jim Sturgess, che recita in entrambi i film in ruoli tutt'altro che secondari.

Ebbene, da quando li ho visti non riesco a non pensare che il film di Tornatore sia una bufala colossale, una presuntuosissima simulazione di profondità, che dal confronto con gli altri due esce come un filmetto da due soldi, una sciocchezzuola di un dilettante che cerca di stupire con vagonate di ammiccamenti eruditi allo spettatore colto (i ritratti di donna, le altre opere d'arte, Vaucanson, lo scacchista-automa di Maelzel di cui scrisse Poe, ecc.).

Mentre Tarantino e i fratelli Wakowski (in co-regia con Tom Tykwer), l'uno con un soggetto originale, gli altri con la trasposizione cinematografica di un romanzo, fanno dei film di puro spettacolo, in cui rendono artisticamente verosimile e godibile l'inverosimile più assoluto, Tornatore finisce col rendere del tutto inverosimile un paio di topoi verosimili (una storia d'amore un po' strana e un complotto), attraverso una serie di trovate macchinose, sotto forma di trovature di marchingegni, di giochini vacui sulla dialettica vero/falso e di introspezioni psicoanalitiche assolutamente di maniera. Senza contare che il marchingegno narrativo sta in piedi esattamente come l'automa di Vaucanson nel film: al massimo da seduto.

Sicché, tanto per dirne una, riconoscere tra i ritratti di Virgil una donna di Raffaello che appena qualche mese fa ho visto "di persona" a Roma mi ha provocato un'emozione estetica meno significativa di quella che mi hanno provocato gli echi visivi di Matrix in Cloud Atlas e la "danza" finale di Django in sella al cavallo che esegue il passo spagnolo sulle stesse note di Annibale e i Cantori Moderni che accompagnavano Terence Hill sdraiato sulla lettiga attaccata al suo cavallo nel mitico B-movie Lo chiamavano Trinità. E questo perché una buona intertestualità interna al cinema può essere artisticamente più efficace di una serie di citazioni colte di dubbia pertinenza (e si consideri, all'opposto, quanto sia interessante e carico di senso, sul piano dello shock cognitivo, l'apparentemente assurdo parallelismo Django/Sigfrido evocato in modo esplicito nel film di Tarantino). 

Si potrebbe dire addirittura che mentre un Tarantino, col suo modo unico di riusare materiale cinematografico altrui e di basso livello artistico per trasformarlo in opera d'arte personalissima, fa la figura di un Lodovico Ariosto, che trasforma in epica sublime l'abusata e popolare materia carolingia, Tornatore fa la figura del pessimo volgarizzatore che, saccheggiando a man bassa la cosiddetta cultura alta, tira fuori un'opera farraginosa e inconsistente che addirittura, se volessimo valutare il livello dell'ingegnosità della macchina del "giallo", rimane al di sotto, che so, di un vecchio episodio di "Diabolik" intitolato Mosaico infernale.

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