Comandante 1: «Comandante 2, salga sopra e mi
dica quante persone ci sono ancora a bordo, cazzo!»
Comandante 2: «Subito Comandante 1, agli
ordini!»
Comandante 1: «Comandante 2, c'è una parte dell'ordine che non le è chiara?»
Comandante 2: «Nossignore, Comandante 1,
tutto chiaro e cristallino!»
Comandante 1: «Bene, Comandante 2, esegua!»
Comandante 2: «Sono già sopra, Comandante 1!»
Comandante 1: «Ottimo, Comandante 2! Allora,
mi dica, è già in grado di fare una stima del numero delle persone ancora
a bordo?»
Comandante 2: «Sì, Comandante 1! Sono un centinaio di persone, Comandante 1!»
Comandante 1: «Magnifico, Comandante 2! Le ha
contate lei di persona una ad una?»
Comandante 2: «No, Comandante 1! Però posso confermare il numero, Comandante 1!»
Comandante 1: «Mi può riferire il nome di chi le ha comunicato il numero,
Comandante 2? È per il verbale».
Comandante 2: «Enrico Mentana, Comandante 1!»
Comandante 1: «Intende dire il Comandante in
seconda Mentana Enrico, Comandante 2?»
Comandante 2: «No, Comandante 1, intendo dire
il direttore del Tg La7, Comandante1!»
Comandante 1: «Lei mi sta dicendo che ha
appreso il numero dei passeggeri ancora a bordo guardando la televisione,
Comandante 2?»
Comandante 2: «Signorsì, Comandante 1!»
Comandante 1: «Scusi, Comandante 2, ma lei
dove minchia è salito?»
Comandante 2: «A casa del tassista,
Comandante 1! È stato gentilissimo, sa? Mi ha
pure dato un cambio di calzini nuovi».
D'accordo, tutto quello che sappiamo della dinamica del
naufragio della Costa Concordia e soprattutto l'ormai storica conversazione
telefonica tra Schettino e il Comandante della Capitaneria di Porto di Livorno
De Falco ci dicono che il Comandante della nave da crociera incarna
perfettamente lo stereotipo dell'incompetente, dell'inadeguato, del maldestro,
del codardo, del vigliacco, del pavido, dell'infame, insomma, dell'uomo di
merda. In tal senso egli è il fantoccio perfetto per il
ruolo del capro espiatorio che concentra su di sé
tutte le qualità negative che strappiamo da
noi stessi e proiettiamo su un altro per realizzare la catarsi collettiva e
nascondere a noi stessi una cosa che ci turba e ci fa paura, e cioè il fatto che un pezzo, e forse più
di un pezzo, di Schettino è in ciascuno di noi.
Tuttavia, non solo per mero esercizio retorico ma anche per riflettere sul nostro tempo e sui suoi valori, vorrei
qui tentare l'impossibile, ovvero, se non proprio assolvere Schettino dalle sue
colpe tecniche, dimostrare che egli era l'uomo giusto al posto giusto. Per
proporre l'apologia antropologica di Schettino, operazione che può sembrare non meno sfacciata che temeraria, dovrò ispirarmi come un umile
novizio al Gorgia che struttura l'encomio logico di Elena, all'Eco che tesse
l'elogio ideologico di Franti e al Saramago che assume la difesa teologica di
Caino.
Una prima cosa da chiarire è
la differenza essenziale tra una nave da crociera e gli altri tipi di grandi
navi. Mentre le navi da guerra, le petroliere, le navi mercantili e le navi
traghetto sono mezzi per il
raggiungimento di fini altri (la vittoria in guerra, il trasporto di
petrolio, merci, animali e uomini), una
nave da crociera è
un fine in sé, cioè un sistema autosufficiente
che realizza scopi ludici intenzionalmente perseguiti oggi dagli uomini.
Siccome le prime hanno una funzione puramente strumentale,
il loro governo richiede piloti capaci, fedeli e attenti il cui compito
principale è quello di permettere a un
mezzo tecnico di svolgere il suo compito, cioè
di raggiungere lo scopo di fungere da strumento efficiente. Le navi da
crociera, invece, in quanto luogo autoreferenziale di realizzazione di fini,
richiedono, di nuovo per una sorta di selezione naturale, piloti che risultino
perfettamente adattati all'ambiente in cui si trovano a vivere ed operare. La
metafora biologica non sembri forzata: il sistema di fini generato dalle
aspettative di chi fa una crociera crea un ambiente complesso che seleziona un
capo con caratteristiche ben precise, tra le quali quelle richieste al
comandante di una portaerei o di una petroliera (coraggio, sprezzo del
pericolo, durezza, autorità, decisione, senso di responsabilità nei confronti del mezzo e del suo carico, ecc.) non sono
necessariamente in primo piano. Cosa si fa su una nave da crociera? Su una nave
da crociera si canta, si balla, si suona, si
va a teatro, si assiste a spettacoli e ad esibizioni di ogni tipo, si
tromba, si rimorchia, si va in piscina, si va in palestra, si gioca a carte, si
socializza, si ride, ci si rilassa, si mangia a sbafo, ci si esibisce, insomma,
per dirla con la formula che racchiude tutto, ci si diverte, e tutto ciò crea una pressione selettiva tale che il comandante
ideale, cioè perfettamente adattato
all'ambiente, è il tipo Schettino: pilota
bravino ma in compenso belloccio, con atteggiamenti da figo fatale,
fricchettone, abbronzato per estetica e non per aver faticato al sole,
giovanile, galante e po' un tamarro, amante delle belle donne e della bella
vita (e non certo della bella morte), cioè esattamente quel che si aspetta che sia la media del gusto dei passeggeri
di una nave da crociera.
Sia chiaro, questo non implica un giudizio di valore
denigratorio nei confronti di questi ultimi. Quelli che amano andare in
crociera hanno tutto il diritto di farlo
ed hanno tutto il diritto di veder soddisfatte le loro aspettative di
divertimento. Dovrebbero però avere contezza anche del
fatto che, creando un ambiente di bisogni e di gusti in un luogo deputato ad
assecondarli (e il quale per questo si pone, lo abbiamo visto, come sistema
autonomo di fini), nello stesso momento creano il profilo antropologico di un
comandante ideale perfettamente adatto al contesto, che è di tipo essenzialmente ludico ed edonistico. Questo
implica che il comandante ideale, cioè il tipo Schettino, è uno che fondamentalmente ama la vita spensierata,
il sesso, il denaro, le feste e le pubbliche relazioni, e a queste passioni
subordina non solo le virtù eroiche e cavalleresche, come
l'attitudine al comando, la generosità, l'altruismo e la
disponibilità al sacrificio di sé, ma anche la competenza tecnica nell'arte della
navigazione, dal momento che egli confida negli automatismi garantiti dalla
tecnologia e dalle conoscenze diffuse nei collaboratori più stretti e nei sottoposti. Il sistema è in gran parte automatizzato e il comandante può andare quando vuole a condividere il divertimento offerto dalla nave con i suoi passeggeri. Si consideri, per contro, quanto sarebbe
inviso ai passeggeri di una nave da crociera un comandante che rispondesse allo
stereotipo dell'orso burbero, militaresco, esclusivamente dedito al comando
della nave, asociale e ostile alla filosofia turistica della bella vita: lo
considererebbero un estraneo e lo stigmatizzerebbero come inadatto al ruolo.
Se così stanno le cose, come ci si può sorprendere del comportamento di Schettino? Il
comportamento di quest'uomo, se ci si pensa un attimo, risulta perfettamente
coerente con il profilo della personalità creata dal sistema-crociera.
O ci si vuole illudere che uno che
fondamentalmente è un capo-intrattenitore in un
contenitore di divertimento (è questo che la volontà generale della nave pretende inconsciamente ma
inesorabilmente che egli sia) sia disposto a mettere a repentaglio la propria
vita per salvare quella degli altri? Si noti poi che su una nave da crociera il
pericolo è preventivato in maniera
puramente astratta e nessuno si sognerebbe mai di metterlo realmente in conto, altrimenti non potrebbe mettervi piede: una nave da crociera, come
detto, è un sistema di fini improntato
per natura al divertimento e allo svago, e la prospettiva reale del naufragio è bandita dalla definizione della sua essenza e relegata per
legge a componente meramente accessoria dell'arredamento sotto forma di oggetti
e percorsi da usare in caso (puramente teorico) di emergenza.
Questo vuol dire che il tipo Schettino, nel momento in cui,
per una leggerezza banale e balorda, è sbalzato fuori dal sogno
della sua nave e va a schiantarsi contro la consistenza rocciosa della realtà, agisce in assoluta coerenza con la sua personalità, che in fondo è assai simile a quella
dell'uomo civilizzato medio cresciuto in un mondo pacifico, edonista e
opulento. La sua filosofia di vita è racchiusa in una massima
tanto semplice quanto umana, fin troppo umana: meglio qualche anno in galera
che morto.
Molto interessante e condivisibile la tua riflessione.
RispondiEliminaGeniale, Marco! Non si poteva dire e argomentare meglio.
RispondiEliminaCiao
Annalisa
Grazie carissime!
RispondiEliminaE infatti, la frase finale spiega tutto fin troppo bene e spiega anche l'atteggiamento tipicamente italiano... un disastro, insomma, una metafora dell'Italia tutta. :-(
RispondiEliminaUna metafora dell'industria del divertimento di massa, anche.
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